Per usare una metafora in stile sportivo la squadra che scende in campo è la Giunta, o esecutivo, che vede nel Sindaco il proprio capitano, quello che oltre a giocare la partita dovrebbe essere il decisore ultimo. L’intera rosa di giocatori è costituita dal Consiglio Comunale i cui componenti hanno il compito di controllare l’operato dei titolari, la Giunta, stimolandoli ad agire con la giusta determinazione nel solco dell’interesse pubblico senza ascoltare le provocanti sirene provenienti dall’esterno che a volte perseguono fini un po’ troppo legati ad interessi privati o personalistici.
I giocatori di una squadra, come si sa, sono solamente la parte più visibile di una società sportiva, ma non potrebbero scendere in campo se non ci fosse a supporto una complessa organizzazione costituita, nel nostro caso, dai dipendenti pubblici strutturati con una gerarchia piramidale determinata dal livello di responsabilità che ognuno riveste nel proprio ufficio.
Ci sono poi anche importanti attori esterni all’Amministrazione che possono giocare un ruolo importante e che a nostro modo di vedere andrebbero ascoltati più spesso tramite processi partecipativi: sono i cittadini, soprattutto quelli più attivi e con lo sguardo orientato al Bene Comune piuttosto che a meri interessi personali, figure da non confondere con i tifosi che guardano a una sola parte.
Non vanno dimenticati nemmeno i cosiddetti stakeholder e cioè i portatori di interessi diffusi come gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, gli agricoltori, i sindacati, le associazioni datoriali e il terzo settore. Impossibile poi non citare la grande tradizione italiana verso l’accoglienza, la solidarietà, l’aiuto ai più deboli, il welfare, tutte attività che storicamente derivano dall’immensa disponibilità di capitale umano e civile del quale disponiamo, ma che abbiamo un po’ troppo frettolosamente accantonato a favore di un capitalismo molto meno umanistico basato esclusivamente sul profitto e sullo sfruttamento di persone e cose e sulla predazione delle risorse naturali.
Questo in un mondo ideale; poi nella realtà ci si trova davanti a un quadro completamente diverso che ci fa capire perché l’Italia da Paese di inventori, navigatori, artisti, esploratori, intellettuali, professionisti di alto livello, ricercatori, fini artigiani, produttori di eccellenze eno-gastronomiche e via discorrendo è diventata un campo di battaglia tra fazioni nel quale la politica ci mette pure del suo invece di convogliare tutto questo “saper fare” in un processo corale di crescita sostenibile e consapevole del Paese. Questo vale per la situazione nazionale, ma anche per quella locale dove troviamo comuni, anche piccoli o piccolissimi, che, seppur sempre meno dotati di risorse, non riescono a superare anacronistici campanilismi non riuscendo così a dare vita a forme di associazionismo che consentirebbero di mettere a fattor comune personale, servizi, conoscenze, mezzi e strutture efficientando un sistema pubblico ormai ridotto all’osso.
Un altro elemento sul quale varrebbe la pena fare qualche ragionamento è la continuità dell’azione amministrativa. Le amministrazioni cambiano e quelle che subentrano, anche se in discontinuità, dovrebbero partire da ciò che è stato fatto da chi li ha preceduti se non altro per non sprecare risorse, economiche o organizzative, precedentemente attivate.
Tralasciando il triste spettacolo a livello nazionale per ciò che riguarda le nomine degli enti controllati dobbiamo purtroppo riscontrare una situazione analoga anche a livello locale dove chi vince le elezioni non perde l’occasione per piazzare proprie figure di riferimento il cui maggior pregio non è tanto il merito, ma l’essere politicamente orientati e “fedeli alla linea”. Ovviamente non vogliamo generalizzare, ma in tal modo spesso capita che si tengono in vita enti ormai diventati inutili, ma che comunque comportano una spesa pubblica non irrilevante per pagare consigli di amministrazione, collegi di revisori, personale, utenze e spese generali. I due casi più evidenti per la città di Ivrea sono Ivrea Parcheggi e la Fondazione Guelpa che svolgono ormai compiti che rientrano nella normale amministrazione e che con una minima riorganizzazione interna potrebbero essere svolti da personale interno al Comune con un bel risparmio per le tasche dei cittadini.
A proposito di personale interno stiamo assistendo, nel silenzio dell’esecutivo, ad una fuga vera e propria di figure professionali di rilievo che saranno difficilmente sostituibili nell’immediato non avendo previsto una fase di individuazione dei sostituti con un periodo di affiancamento prima del passaggio di consegne. Ciò che aggrava la situazione è che queste “uscite” toccano un po’ tutti gli uffici e servizi: legale, cultura ed eventi, sociale, tecnico-manutentivo, tributario, edilizio (pubblico e privato) e urbanistico, sportello unico delle attività produttive e l’elenco continua ad allungarsi giorno dopo giorno. La questione va affrontata senza indugiare oltre altrimenti si rischia una paralisi che in certi uffici è già in corso, se non lo si fa con urgenza recuperare sarà molto duro.
Tornando all’immagine dell’Amministrazione come una squadra, evocata in apertura, ciò che da qualche tempo sta emergendo è che si tratta di un gruppo disunito dove ognuno gioca una propria partita senza schemi e strategie condivise, univoche e finalizzate alla crescita della città. Ciliegina sulla torta, si fa per dire, è l’assunzione (molto onerosa) ormai da qualche mese di un Capo di Gabinetto i cui compiti li potrebbe svolgere tranquillamente il Sindaco e questo è avvalorato dal fatto che se andiamo a vedere quali siano i ruoli affidati a questa nuova figura professionale, della quale la città è sempre riuscita a fare a meno, si tratta di ruoli prettamente politici e con potere decisionale. Detto questo se poi aggiungiamo che il Capo di Gabinetto non è stato eletto e fino a poco tempo fa apparteneva ad una loggia massonica, dalla quale a differenza di ciò che è stato detto non ci si può “dimettere”, il quadro si fa ancora più desolante … e preoccupante.