Alla luce di quanto accaduto in Italia in queste ultime settimane si possono cominciare a fare alcune considerazioni che non sono tutte necessariamente negative.
Abbiamo riscoperto l’importanza del civismo, della solidarietà e della responsabilità pubblica anche se finora non proprio tutti, a partire dallo sciacallaggio indegno di qualche politico, hanno ancora capito che: o si rema tutti dalla stessa parte o si rischia di affondare. L’altra cosa che si spera tutti abbiano capito è che comportamenti superficiali, o messi in atto con leggerezza, oltre a mettere in pericolo la propria salute possono mettere a repentaglio quella di altri con particolare riguardo ai soggetti più a rischio. A questo punto del guado, dove è necessario ridurre prima possibile la diffusione del virus da esponenziale a lineare fino a fermarla del tutto, non va sottovalutata nessuna precauzione. Il fatto che virus e batteri, piuttosto che diversi tipi di radiazione, non si vedono tende a far minimizzare i rischi e c’è sempre in giro qualche irresponsabile che gioca sulla pelle degli altri.
Un altro dei mantra tipici italiani è la critica a prescindere alle decisioni prese dal Governo di turno spesso per meri interessi di bottega e con particolare biasimo per quelli di tipo politico. Prima di esprimere critiche senza alcuna competenza, ruolo o conoscenza specifica bisognerebbe immedesimarsi nei vertici dello Stato che devono prendere decisioni in breve tempo, in questo caso vista la velocità di diffusione del virus, dovendo tenere conto di tutto il territorio nazionale e del contesto globale. Nel caso specifico il Presidente Conte ha costituito una task force di esperti che costantemente valuta la situazione elaborando provvedimenti, come le ordinanze, che dettano la linea e che in un Paese civile si rispettano senza se e senza ma, pena il caos. In ogni documento complesso ci possono essere dei passaggi non chiari o non troppo ben definiti però se si vuole fare un servizio utile a tutta la Nazione la politica tutta invece di esprimere un dissenso ideologico e inconcludente dovrebbe aiutare i vertici a migliorare le decisioni prese nell’interesse di tutti.
Un altro argomento molto dibattuto sui media fin dai primi giorni è stato quella dell’impatto economico dell’epidemia; ragionamento che a un certo punto ha fatto addirittura allentare il cordone di sicurezza sanitaria. Sono bastati pochi giorni di espansione dei contagi per far capire a tutti che senza salute nessuna attività economica può esistere. Questo dovrebbe farci riflettere nel prossimo futuro sui valori che vogliamo porci come obiettivi per una crescita responsabile e sostenibile del Pianeta riportando la politica a prevalere sugli interessi economici e non viceversa come accaduto negli ultimi decenni.
A proposito di politica e di interessi la vicenda Coronavirus ha messo in evidenza ciò che il personale sanitario italiano lamenta da anni e cioè la mancanza di medici, infermieri, strutture, attrezzature, ecc. Un recentissimo Decreto Legge ha sbloccato 600 milioni di euro per l’assunzione immediata di personale sanitario così ripartito: 4.800 medici, 10.000 infermieri e oltre 5.000 Oss (operatori sanitari). Se queste risorse serviranno anche per le strutture sono indubbiamente insufficienti, ma l’importante è che si apra una strada verso una complessiva ristrutturazione del sistema sanitario nazionale con una decisa inversione di tendenza al depauperamento del pubblico nei confronti del privato. Una delle più grandi storture causate da questo spostamento di risorse e mansioni la vediamo proprio oggi con l’epidemia da Covid-19: potrebbero non esserci posti letto, con particolare attenzione a quelli in terapia intensiva, nelle strutture pubbliche mentre le private non sono attrezzate, o non obbligate, per contribuire all’emergenza così come non sono attrezzate per gestire il servizio di Pronto Soccorso. In soldoni tutto ciò che è poco redditizio è rimasto in capo al pubblico mentre al privato sono state trasferite le attività che generano maggiori profitti con costi esorbitanti per le casse pubbliche. Qualche giorno fa pare che finalmente, almeno in Lombardia e in Veneto, si siano sottoscritti impegni alla collaborazione tra pubblico e privato, vedremo.
Un dato di fatto è che questa emergenza ci sta facendo toccare con mano le dissennate politiche pubbliche dagli anni ’80 del secolo scorso. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in Italia nel 1980 avevamo disponibili 922 posti letto ogni 100.000 abitanti mentre nel 2013 solo 275, passando quindi da 595.0000 posti a 165.000! Numeri che gridano vendetta e che se fossero stati mantenuti oggi ci farebbero affrontare questa epidemia, come le altre che inevitabilmente dovremo affrontare nel mondo globalizzato del prossimo futuro, con maggior tranquillità. Va anche detto che nonostante tutto questo il Servizio Sanitario pubblico, grazie alla professionalità, competenza e all’abnegazione degli operatori sanitari, è comunque un’eccellenza e lo sta dimostrando in queste ore e giorni difficili.
E perché sono stati effettuati questi tagli? Perché non c’erano risorse? No. Perché sono state spostate su altre voci di spesa in particolar modo su quello che viene definito il settore della Difesa intesa ovviamente in senso militare e quindi in armamenti. Con l’emergenza che stiamo vivendo da cosa ci dovremmo difendere? Da un improbabile se non impossibile attacco bellico o dalle nuove patologie o eventi calamitosi che in un Pianeta sovrappopolato e depredato nel suo ambiente ci troveremo ad affrontare?
Scrive David Colantoni: “Ci siamo ridotti, in una nazione di 60 milioni di abitanti, a disporre di 7.981 postazioni di terapia intensiva: 5.090 posti letto di terapia intensiva (8,42 per 100.000 ab.), 1.129 posti letto di terapia intensiva neonatale (2,46 per 1.000 nati vivi), e 2.601 posti letto per unità coronarica (4,30 per 100.000 ab.). Per capirci meglio, ogni milione di abitanti 84 posti di Terapia intensiva e 43 di unità coronarica. Se oggi avessimo ancora lo stesso numero di letti ospedalieri del 1980, avremmo a disposizione oltre 15.000 postazioni di terapia intensiva”.
Dicevamo delle risorse spostate dalla Sanità alla Difesa. Diamo qualche numero: anni fa governi di vario colore hanno deciso di acquistare 90 cacciabombardieri F35 per un costo di 14 miliardi di euro. Visto che la Marina si è sentita sottovalutata è stata comprata una terza enorme portaerei, la Trieste, oltre una squadra navale di fregate lanciamissili, aerei della marina, elicotteri e droni per altre decine di miliardi per una somma totale investita dallo Stato pari a 26 miliardi di euro. Cifra con la quale, alla luce del costo di circa 200 milioni di euro per un Policlinico di ultima generazione da 2000 posti letto dotato di tutte le ultime innovazioni tecnologiche, si potrebbero costruire 52 strutture ospedaliere per un totale di 194.000 posti letto. E giusto per fare un altro esempio di come vengono spesi i nostri soldi con i 185 milioni circa del costo di un solo F35 (aereo da combattimento) si potrebbero finanziare 5000 impianti di ventilazione assistita che sono il cuore delle Unità di Terapia Intensiva che oggi scarseggiano di fronte all’emergenza[1]. Ogni anno in Italia si spendono circa 25 miliardi di euro in spese militari però nelle strutture sanitarie scarseggiano mascherine e disinfettanti. Tutti dati oggettivi e inconfutabili.
Detto questo però ora non è il momento delle polemiche. Ora serve fare squadra e lavorare tutti uniti attenendosi con rigore alle direttive delle massime autorità pubbliche per vincere questa guerra dopodiché, finita questa emergenza, ci dovremmo impegnare tutti a non far cadere tutto nel dimenticatoio riflettendo seriamente su quanto accaduto e battendosi con rinnovata energia per cambiare una politica iniqua e ingiusta per dare un futuro alle nuove generazioni.
[1] Fonte: David Colantoni – “Coronavirus – Lo stato delle cose” – www.you-ng.it