Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un’assurda polarizzazione delle opinioni purtroppo tipica del dibattito pubblico in Italia. Fin da subito si sono infatti creati due schieramenti su posizioni apparentemente inconciliabili, ma se vogliamo veramente sostenere un progetto basato su una tecnologia non ancora sufficientemente conosciuta e sperimentata, almeno per ciò che riguarda le possibili conseguenze sulla salute umana, dovremo dimostrare una capacità di analisi e di giudizio anch’essa innovativa e quindi capace di uscire da vetusti e rigidi schemi ideologici che non giovano a nessuno.
Oggi tutto pare doversi attuare velocemente, ma si sa che spesso la velocità non è la migliore consigliera ed in questo caso specifico rischia di far prendere delle decisioni affrettate che si potrebbero ripercuotere negativamente in futuro. Sul 5G l’unica cosa certa è che si tratta di una tecnologia della quale, soprattutto dal punto di vista dell’impatto sulla salute e sull’ambiente, si conosce ancora troppo poco. Questa mancanza di dati sui possibili danni alla salute umana, e all’ambiente più in generale, è un dato inconfutabile che nessuno può smentire se non altro perché, trattandosi di una tecnologia molto recente, non c’è ancora stato il tempo, soprattutto sul medio e lungo termine, per poter procedere ad un’analisi epidemiologica scientificamente validata. Le prime antenne sperimentali si stanno infatti installando solo ora, come nel caso di Ivrea, e uno studio di cancerogenesi serio prevede un tempo di prova di almeno due anni. Va anche detto che il problema della pericolosità delle onde elettromagnetiche non nasce con il 5G, ma questo non migliora la situazione, semmai la peggiora andandosi ad aggiungere, questa nuova tecnologia, a quelle precedenti.
La comunità scientifica è comunque all’opera e settimana dopo settimana vengono pubblicati nuovi studi sulla nocività o meno delle onde elettromagnetiche delle quali il 5G rappresenta un’evoluzione radicale. Una rivoluzione tecnologica che porterà alla diffusione capillare di una miriade di antenne che si andranno ad aggiungere, per un certo numero di anni, alle stazioni radio base di tecnologie 4G e precedenti. Sarà pur vero che la potenza delle singole antenne potrebbe essere inferiore, ma ciò che oggi non si conosce è l’effettiva quantità di emissioni dei nuovi apparati perché come sostiene l’Agenzia Regionale per l’Ambiente (ARPA), deputata al loro controllo, si tratta di calcoli “resi complessi dalla variazione dinamica dei fasci di radiazione nel tempo e nello spazio che è legata alle esigenze dell’utenza (non ancora prevedibili in questa fase sperimentale)”. Parrebbero non esistere attualmente, in parole povere, strumenti e modalità di misurazione in grado di valutare direttamente questo nuovo tipo di emissioni e sarà quindi necessario aggiornare l’approccio per valutare adeguatamente l’esposizione ai campi elettromagnetici in un quadro che cambierà notevolmente a causa di una trasmissione non più uniforme su un’area vasta, ma centrata sull’utente e sul dispositivo. La caratteristica che distingue profondamente il 5G dalle precedenti tecnologie consiste infatti nell’adozione di sistemi che consentono di ottenere fasci direzionali di emissione d’antenna con caratteristiche spaziali di tipo “dinamico”. Questa modalità di esercizio consente di “seguire” l’utilizzatore del servizio in tempo reale e nello spazio. Trattandosi quindi di antenne “adattive” le emissioni saranno condizionate dal numero di utenze servite, dalla loro posizione e dal tipo di servizio e sarà ovviamente diversa la quantità totale se in un dato momento è collegato un solo telefonino o ci si trova all’interno di una stadio o di un luogo molto affollato con migliaia di utenze connesse sulla stessa antenna. Proprio per questo si pone il problema di riconsiderare i criteri di valutazione e di controllo rispetto alle normative attualmente in vigore.
Quanto sopra, in scala locale, è avvalorato dalle misurazioni delle emissioni provenienti dal traliccio di piazza S.Francesco D’Assisi di cui abbiamo letto sui giornali, effettuate dalla stessa ARPA presso alcune aule del liceo Botta. Sono state infatti eseguite misurazioni di campo magnetico sul totale delle antenne presenti, ma per ciò che riguarda “il contributo apportato dal 5G” viene specificato dall’Agenzia Regionale che si tratta di un “valore di campo elettrico stimato teoricamente”.
Ora al di là della fondamentale attività di controllo la politica e l’opinione pubblica si dovrebbero interrogare su quale possa essere un livello di rischio accettabile e se non convenga, in ossequio al principio comunitario di precauzione, temporeggiare in attesa di dati certi da parte della comunità scientifica internazionale. A questo proposito è utile ricordare che il Principio di precauzione è stato introdotto per la prima volta nella Dichiarazione di Rio nel 1992 a seguito della Conferenza sull'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Earth Summit) di Rio de Janeiro. Principio fatto proprio anche dall’UE che così lo descrive: “Quando le attività umane possono portare a un danno moralmente inaccettabile, che è scientificamente plausibile ma incerto, si dovranno intraprendere azioni per evitare o diminuire tale danno”.
La speranza è che il dibattito su un tema così importante non si riduca ad uno scontro ideologico tra favorevoli e contrari, magari mosso da meri interessi economici, ma sappia imperniarsi su un dibattito responsabile basato su dati e studi scientifici finalizzati a garantire la sicurezza della salute e dei dati della popolazione mondiale.