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Martedì, 14 Aprile 2020 22:31

Il castello di carte e la via d’uscita

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Non potendo far altro che parlare dello tsunami socio-sanitario che sta attraversando la nostra distratta, almeno fino al 2019, società contemporanea basata sul consumo e sul denaro proviamo a guardare a un aspetto meno trattato in questo periodo, ma necessario soprattutto in vista dell’agognata fase 2.

 

E’ necessaria una premessa sui numeri che, come una liturgia serale, ci vengono propinati dalla protezione civile non si sa bene se con l’intento di rassicurarci o di preoccuparci maggiormente. Si è ormai capito che quei numeri valgono quel che valgono e che non sono comunque corretti per tutta una serie di motivi che stanno emergendo con il passare del tempo. Viene quindi da chiedersi se ascoltare numeri tirati lì un po’ a caso sia utile o maggiormente ansiogeno. I morti è ormai chiaro che sono sottostimati perché a molte delle persone decedute, soprattutto nelle case di cura o nelle proprie abitazioni, non è stato fatto il tampone e sono state rubricate sotto patologie non covid. Su questo fronte c’è però l’evidenza, che pare abbastanza omogenea a livello nazionale, che nelle strutture sanitarie la pressione sui pronto soccorso e sulle terapie intensive stia effettivamente diminuendo.

L’altro dato farlocco, e per certi versi più preoccupante per il futuro, è quello dei contagiati che qualcuno sostiene essere almeno dieci volte più dei dati ufficiali e questo potrebbe essere anche verosimile visto che non serve essere degli scienziati per capire che se non vengono fatti i tamponi non emergono nuovi contagi. E’ purtroppo evidente che la quarantena, che ormai dura da una quarantina di giorni, non è lo strumento per sconfiggere il virus senza un vaccino o senza una cura specifica per chi lo contrae. Ciò che sarebbe utile capire è perché continuino ancora ad aumentare il numero dei contagi nonostante le restrizioni, smentendo le previsioni degli esperti riguardo il possibile calo della curva epidemiologica a seguito del lock down.

Abbiamo detto in apertura che non avremmo dato vita all’ennesima analisi che è meglio lasciar fare agli esperti, ma solamente evidenziato alcune considerazioni sui numeri ufficiali per introdurre l’argomento di oggi che esula dagli aspetti sanitari per approfondirne altri a carattere più prettamente politico.

Questa emergenza ha infatti messo chiaramente in luce il fallimento di una visione della società capitalista-liberista globale basata esclusivamente sul mercato e sul denaro. Visione che, concentrandosi cinicamente sul profitto e sul tornaconto economico di ogni azione, si è dimenticata una delle principali missioni della politica e cioè quella di garantire condizioni di vita e di cura dignitose a tutti a partire dai più deboli e fragili.

Purtroppo questa idea malsana di politica ha attecchito negli anni anche in un Paese come l’Italia che ha sempre avuto una grande capacità di ascolto, di accoglienza, di mutuo aiuto, di umanità e accettazione del diverso. Se per una destra, sempre più destra e sempre più nazionalista, questa può essere una strada coerente con la propria ideologia conservatrice, basata sull’egoismo personale, qualcosa in più ci si sarebbe aspettati da una sinistra che invece di essere progressista ed egualitaria si è dimostrata del tutto inadeguata e incapace di portare avanti quei valori umanitari che avrebbero potuto e dovuto contraddistinguerla. Questo ha fatto sì che negli ultimi decenni prendessero piede populismi, sovranismi  e nazionalismi vari che sono l’antitesi di una convivenza pacifica e comunitaria fondata sul bene comune piuttosto che sull’individualismo. Questo mefitico brodo ha fatto sì che una classe politica non all’altezza del compito desse vita a una trasformazione sociale, ambientale, culturale ed economica che oggi si palesa in tutta la sua inadeguatezza ad affrontare una situazione di emergenza nella quale il denaro conta poco o nulla.

Oggi abbiamo di fronte una sanità che dagli anni ’80 del ‘900 è stata spolpata e svuotata perdendo oltre 70.000 posti letto nonostante il grido di allarme di tutti quegli operatori sanitari che oggi qualcuno, che mai li ha ascoltati prima, oggi li indica come eroi. Quegli stessi operatori con molta dignità dicono che ciò di cui hanno bisogno non sono ipocriti riconoscimenti tardivi, ma materiali e attrezzature per poter svolgere in sicurezza e nella pienezza della loro professione il proprio lavoro

Un altro elemento politico su cui oggi non si può tacere è il fallimento dell’attuale architettura istituzionale dello Stato o, per dirla più semplicemente, della sua organizzazione che pare oggi un castello di carte che si regge su di un equilibrio molto instabile. La pessima e dannosa riforma Delrio, elaborata ai tempi del Governo Renzi, che ha eliminato le Province ha cancellato con un colpo di spugna l’unico ente di collegamento diretto tra i Comuni e lo Stato centrale lasciando questo compito a Regioni troppo lontane dai bisogni dei territori e troppo indaffarate a distruggere la sanità pubblica e tralasciamo, per ora, le decine di scandali legati a episodi di corruzione e concussione. La disastrosa gestione delle Regioni del Nord dell’emergenza sanitaria ci dice chiaramente che le superficiali riforme filo federaliste emanate per tenere buona una parte dell’arco costituzionale sono state un rimedio peggiore del danno. Diceva Einstein che: “non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”.

Ciò che sta emergendo su quanto accaduto nelle RSA del nord è inquietante e pericoloso e finalmente cominciano a partire indagini sulle responsabilità perché, nel rispetto di tutti questi morti, i loro parenti, ma anche tutta la società civile, hanno tutto il diritto di conoscere cosa non ha funzionato nel sistema. Ci sarà una fase, che è già iniziata, nella quale quella politica che il sistema l’ha creato metterà in atto il solito scarica barile additando colpe e responsabilità a chi c’era prima o a quei dirigenti da loro stessi nominati proprio per “non disturbare il conducente”.

Dovremo essere vigili e cogliere l’occasione per modificare radicalmente il modello politico ed economico della società contemporanea se no vorrà dire che il virus non ci ha insegnato nulla. In queste situazioni drammatiche, se usiamo l’attenzione necessaria, possiamo trovare degli appigli per rivoluzionare modalità di pensiero collettivo non più adeguate alla contemporaneità. Ad esempio mentre gli Stati in questa emergenza hanno cominciato a chiudere le frontiere dichiarando, alcuni di loro, che la ricerca scientifica è un imperativo nazionale gli scienziati hanno messo insieme una collaborazione inedita e mai vista a livello mondiale. Questa è la strada non l’isolazionismo e il nazionalismo. Un’altra bella notizia rimbalzata ora sui media, ma poco divulgata a suo tempo è che  il 14 ottobre del 2019 il Nobel per l’Economia è stato assegnato agli economisti Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer per «il loro lavoro mirato a cercare un nuovo approccio per trovare risposte affidabili su come alleviare la povertà». Che sia uno dei punti dai quali partire?

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Francesco Comotto

Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.

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