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Martedì, 01 Settembre 2020 21:59

Come osate?

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Come osate?” è la domanda che Greta Thunberg ha posto, con tono fermo e deciso, ai leader mondiali in un appassionato e veemente discorso tenuto in un vertice delle Nazioni Unite. La frase in cui era contenuta questa domanda era questa: «La gente soffre, muore. Interi ecosistemi sono al collasso. Siamo alle porte di un’estinzione di massa e voi parlate di denaro e di crescita senza limite. Come osate?»

 

Questa frase e la domanda in essa contenuta segnano un cambio di paradigma storico nell’ambientalismo mondiale. Si punta finalmente il dito verso la politica e i governi che non fanno abbastanza per modificare alla radice abitudini e consumi non più sostenibili.

Fino ad oggi infatti le grandi multinazionali inquinanti e i governi che le assecondano hanno dato vita, purtroppo con successo, a campagne di comunicazione finalizzate a suscitare sensi di colpa nei consumatori e cioè a tutti noi, individualmente considerati. Campagne pubblicitarie miliardarie di “greenwashing” messe in atto da questi potentati economici, tra i quali troviamo le grandi compagnie petrolifere, sono state concepite per sviare l’attenzione dai veri problemi ecologici spesso da loro stesse creati. L’inchiesta dal titolo “Carbon majors” pubblicata sul Guardian nel 2019 ci dice infatti che il 35% delle emissioni complessive di gas serra a partire dal 1965 sono state prodotte da soli 20 colossi dell’energia mondiale.

Lo stesso discorso vale per i governi nazionali, ma anche per le amministrazioni regionali e locali che invece di dare vita a politiche pubbliche finalizzate alla salvaguardia dell’ambiente e di conseguenza della salute dei cittadini hanno irresponsabilmente incrementato la cementificazione dei suoli agricoli chiedendo nel contempo ai propri cittadini di mettere in atto comportamenti virtuosi facendo credere loro di poter essere determinanti individualmente. E’ chiaro che se un individuo mangia meno carne o diventa vegetariano da’ il proprio contributo alla causa, ma di certo questo non inciderà sui cambiamenti climatici globali. Per questo servono interventi su larga scala che solo una politica trasversale, a livello nazionale e internazionale, può mettere in atto assumendosi la responsabilità della transazione da un’economia basata sul mero profitto di pochi individui ad una incentrata sul bene comune.

Dare vita a politiche pubbliche per potenziare il trasporto pubblico diminuendo il numero dei mezzi privati in circolazione è infatti radicalmente diverso dal continuare a costruire nuove strade con un numero sempre crescente di corsie. Incentivare l’aumento della produzione di carne con i contributi agricoli della UE è diverso dal promuovere l’agricoltura biologica e sostenibile. Uno studio di Grenpeace ci dice che ogni anno 30 miliardi di euro (1/5 del budget europeo complessivo) vengono destinati agli allevamenti intensivi e alla produzione di mangimi.

Come sostiene il giornalista olandese Jaap Tielbeke: «Se guardiamo solo a noi stessi o agli altri, le cause strutturali continueranno a sfuggirci e i veri colpevoli a farla franca. Mentre noi ci chiediamo quale gelato sia più sostenibile e compriamo prodotti biologici, le aziende petrolifere continuano a pompare indisturbate».

Il cambio di paradigma delle battaglie ambientaliste del futuro prossimo, precedentemente citato, comporta sempre un’assunzione individuale di responsabilità, con la messa in atto di comportamenti virtuosi, ma anche la partecipazione attiva al dibattito pubblico per costringere i decisori politici a fare la loro parte. Sarà anche necessario aumentare la trasparenza dell’azione della Pubblica Amministrazione ad ogni livello e stroncare il deprecabile fenomeno della corruzione che, soprattutto in Italia, si mangia una bella fetta di PIL.

Le battaglie dei giovani ambientalisti di Fridays for Future o di altre analoghe associazioni ecologiste cominciano a dare qualche frutto tanto che la nuova Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dato vita ad un progetto per un Green Deal capace di fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

Ora si tratta di uscire allo scoperto e di camminare tutti nella stessa direzione per dare concretezza alle parole e alle enunciazioni di principio. Lo dovrà fare il Governo italiano e lo dovranno fare le Regioni e i Comuni, ma servirà sganciarsi di netto dalle vecchie logiche predatorie che ci hanno portato sull’orlo del baratro: i cambiamenti climatici sono lì a testimoniarlo.

Purtroppo per quanto riguarda la nostra città e il nostro territorio non si intravedono progetti politici in grado di seguire questa tendenza. Nei prossimi mesi ad Ivrea si lavorerà sulla Variante al Piano Regolatore Generale e vedremo se oltre ai proclami sul “consumo di suolo zero” seguiranno norme e comportamenti  adeguati. In assoluta controtendenza infatti qualche settimana fa è stata resa pubblica la programmazione delle  opere pubbliche della Città Metropolitana di Torino nella quale ritorna un progetto datato, non necessario e con elevato consumo di suolo agricolo come il peduncolo di Ivrea (variante ex SS 228 dalla strada statale 26 (Terzo Ponte) al confine del Comune di Bollengo). Progetto datato e non più adeguato all’attuale situazione socio-economica nato nel tempo in cui la politica locale aveva puntato tutte le sue carte sull’anacronistico mega parco di Mediapolis (500.000 mq di terreno agricolo) definitivamente tramontato dopo un paio di pronunciamenti dei tribunali dopo un grande spreco di risorse pubbliche.

I problemi di traffico della città di Ivrea non si risolvono certo aumentando le corsie in entrata e in uscita per chi arriva da est sulla ex SS228. Se l’idea è quella di deviare parte dei flussi di traffico provenienti da quella direzione direttamente sul Terzo Ponte basta collegare quest’ultimo con un mini-peduncolo a via Casale con un consumo di suolo ridotto e costi minimali.

I soldi che verrebbero investiti in un’opera inutile e fortemente impattante dal punto di vista ambientale potrebbero venire piuttosto dirottati sul nuovo casello di S.Bernardo che consentirebbe di utilizzare l’autostrada come circonvallazione della città. Servirebbe però una visione territoriale di area vasta che nessuno pare abbia la voglia, a partire dalla città di Ivrea, di proporre e inserire in un percorso di sviluppo sostenibile in grado di guardare al futuro della nostra area sempre più depressa dopo la fine del’epopea olivettiana.

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Francesco Comotto

Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.

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