Intorno alla figura di Adriano, integrata anche da quella del padre Camillo, si potrebbero creare le premesse e le condizioni per una rinascita in grande stile di una città, Ivrea, che oggi pare trascinarsi stancamente verso un declino annunciato, dimentica del suo grande passato e del tesoro materiale ed immateriale lasciato dalla famiglia Olivetti.
Scriveva qualche tempo fa un amico, in un articolo su Ivrea, della stranezza tutta eporediese di come sia possibile che al suo uomo più illustre non sia stato dedicato alcun ponte, piazza, monumento importante, significativo.
Da qualche giorno è stata annunciata la candidatura Unesco della città di Ivrea come patrimonio dell’umanità per la sua architettura industriale e noi di Viviamo Ivrea siamo assolutamente convinti della valenza di questa iniziativa e delle opportunità che potrebbe portarsi appresso.
Siamo però molto preoccupati dal fatto che questo importante processo culturale rischi di essere fagocitato dalla mala-politica di quei partiti (o di ciò che ne rimane) che lo stesso Adriano Olivetti individuava come un problema per la vera democrazia tanto da scriverci un libro, da poco ripubblicato, dalle rinate Edizioni di Comunità, dall’eloquente titolo: “Democrazia senza partiti”.
Le notizie emerse negli ultimi tempi, tra incarichi di consulenza e mancanza di progettualità, fanno tremare i polsi e crediamo sia necessario non nascondere la testa sotto la sabbia se non vogliamo perdere l’ennesima, forse l’ultima, occasione, per riportare Ivrea agli onori del mondo. Serve alzare il livello.
Ci riferiamo a tutta una serie di vicende che denotano il disinteresse nei confronti di questa grande epopea ed è triste oggi vedere lo stato di abbandono in cui versano edifici come La Serra, il Convento e l’area circostante, la Fabbrica di mattoni rossi, la Nave e via discorrendo.
A molti sarà capitato di recarsi a Mirandola, piccola cittadina del modenese, accorgendosi immediatamente che esiste il bar Pico, il ristorante Pico, il cinema intitolato al grande studioso del quattrocento. Più prosaicamente basta recarsi a Brescello, un paesino sperduto nelle nebbie reggiane, per incontrare il bar Peppone, il bar Camillo, un simpatico museo "inventato" e costruito sui resti cinematografici dell'opera del grande Guareschi.
In entrambi i luoghi (ma potremmo citarne molti altri), varcata la soglia del paese, si respira l'aria di quel tempo, le atmosfere che l'intera comunità, attraverso quei semplici gesti di "omaggio" alla storia che li ha baciati, vogliono comunicarci.
Il paese tutto ha compreso che la fortuna va coltivata, alimentata, mantenuta perchè rappresenta la ricchezza, il lavoro di tante famiglie e la notorietà stessa del paese e del luogo.
E' vero anche che ci vogliono soldi, ma i soldi non bastano. Ci vogliono buone idee e buoni progetti, poi i soldi si trovano, ma soprattutto, serve l'orgoglio di appartenere a quel passato, l'orgoglio di essere nati da quell'humus e da quella cultura e la doverosa riconoscenza verso persone che, in qualche modo, hanno voluto che noi nascessimo proprio qui, coccolati da una "proprietà" che stravedeva per l’"altro", per il territorio, per l'ambiente. Non basta poi nemmeno l’orgoglio, serve anche una buona politica: trasparente, inclusiva, innovativa, adeguata ai tempi. Proprio quella che perseguiva Adriano Olivetti. Ed oggi è triste riscontrare che nella terra dell’utopia possibile niente, o poco, di quel pensiero illuminato pare aver attecchito.