Siamo al record, in negativo, dell’affluenza al voto per quanto riguarda l’intera storia dell’Italia repubblicana. Record o non record quando a votare va un quinto degli elettori forse qualcuno, a partire dai promotori, dovrebbe cominciare a chiedersi quali siano le motivazioni di un tale disastro.
Da tempo ogni volta che arriva una scadenza elettorale ci tocca assistere a una percentuale inferiore di votanti ed è evidente che ci siano dei limiti non superabili che richiederebbero una profonda analisi delle possibili cause e un intervento di quel Parlamento oggi ridotto a un poltronificio senza alcun potere.
Di motivazioni ce ne sono molte e il fenomeno della disaffezione e dell’allontanamento dalla politica da parte dei cittadini elettori è purtroppo un processo che procede lento ma costante da parecchio tempo nel completo disinteresse di partiti diventati ormai dei meri comitati elettorali le cui sedi da fucina di idee sono diventati meri luoghi di lotta per le candidature a venire.
Per quel che riguarda il referendum, appena usciti i quesiti proposti è stato abbastanza facile prevedere il mancato raggiungimento del quorum per diversi motivi tra cui spiccano la farraginosità e la complessità dei testi e, dal nostro punto di vista ancora più grave, l’utilizzo strumentale dell’istituto referendario chiamato a sopperire all’incapacità delle politica di trovare una sintesi su una modifica di riforme ormai diventata indispensabile; ce lo chiede pure l’Europa in cambio dei fondi del famigerato PNRR.
Dal punto di vista politico è disarmante dover riscontrare che per nascondere l’incapacità di svolgere il proprio ruolo nelle sedi istituzionali competenti l’attuale classe politica utilizzi a proprio uso e consumo uno strumento democratico quale un referendum pensato non certo per far esprimere il popolo su quesiti complessi, tecnici e cavillosi quanto su temi di grande rilevanza etica: il divorzio, l’aborto, il nucleare, la privatizzazione dell’acqua, la caccia, ecc.
Su temi di questa rilevanza ogni cittadino, con un minimo di approfondimento, può manifestare il proprio parere, ma non può certo sostituirsi al legislatore esprimendosi su modifiche abrogative di articoli di legge che finirebbero per indebolire e rendere confusi testi che già sono in attesa di una riforma parlamentare da anni.
Qui si aggiunge un’altra delle storture dell’attuale impianto democratico che necessiterebbe anch’esso, come sostiene anche il Presidente della Repubblica, di una revisione modernizzatrice e cioè la mancata attuazione dell’esito referendario così come è accaduto ad esempio con il referendum del 2011 sulla gestione del servizio idrico quando 27 milioni di italiani, con un quorum del 54% e il 94% di sì, votarono a favore della gestione pubblica di questo importantissimo bene comune. Nonostante un referendum sia uno strumento di esercizio della sovranità popolare, il cui esito vincoli i legislatori sono già trascorsi undici anni e non abbiamo ancora una legge che tuteli, governi e gestisca le acque secondo quanto espresso della volontà popolare. Alla faccia del popolo sovrano.
In questa tornata elettorale è poi accaduto a Palermo un fatto di una gravità inaudita e cioè la rinuncia all’ultimo momento di un centinaio di presidenti dei seggio e di scrutatori che hanno messo in ginocchio la macchina comunale per l’allestimento e l’apertura dei seggi. Dopo ore frenetiche per trovare persone responsabili disponibili a ricoprire all’ultimo minuto i posti divenuti vacanti le elezioni hanno potuto svolgersi, ma lo schiaffo alle istituzioni è arrivato e anche bello forte. Un ammutinamento ad orologeria di quelle dimensioni fa chiaramente capire che si è trattato di un’azione concordata, ma da chi? La Ministra dell’Interno Lamorgese parla di atto gravissimo, ma qui non bastano le dichiarazioni di rito, lo Stato dovrà dare un segnale forte e andare a fondo della vicenda se non vuole perdere di credibilità e autorevolezza, ma soprattutto se non vuole consegnare la Sicilia in mano a poteri altri rispetto a quelli istituzionalmente definiti.
Purtroppo queste vicende dell’ultima ora rendono ancora più profondo il solco tra i cittadini e una classe politica inadeguata che spesso si esprime senza nemmeno conoscere il proprio ruolo portando il livello della discussione a livelli infimi in un continuo e sterile battibecco con la parte avversa.
La situazione internazionale poi, tra pandemie e guerre, di certo non fa presagire nulla di buono anche dal punto di vista delle tenuta dei sistemi democratici in giro per il Mondo. Senza spingersi fino alle imprese sanguinarie di Putin possiamo anche fermarci a fare qualche ragionamento sulle questioni di casa nostra dove siamo governati da un Presidente del Consiglio non eletto che non perde occasione per imporre il proprio pensiero senza preoccuparsi di quello di un Parlamento che dovrebbe rappresentare la volontà popolare.
In questo quadro caotico e preoccupante non si riescono proprio a vedere delle vie d’uscita, ma volendo provare a prefigurarne una noi crediamo che una soluzione possibile potrebbe partire dal basso, dai Comuni, dove un minimo di autonomia decisionale e programmatica ancora esiste. Partendo dai Comuni e allargandosi a una visuale territoriale di area vasta si potrebbero mettere in atto buone pratiche e politiche di sostenibilità che intanto farebbero vivere meglio e più serenamente i propri cittadini, ma potrebbero anche portare ad una massa critica in grado di poter dialogare con gli enti superiori. Il prossimo anno ad Ivrea si terranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale, perché non provare a dare vita ad un esperimento nuovo basato sul civismo e sul bene comune andando oltre le visioni ideologiche e le imposizioni dei partiti finalizzate, spesso, ad una mera distribuzione di poltrone?