La sua grandezza è ancora più evidente per il fatto che la battaglia che lui combatteva non era solo contro uno dei tanti despoti africani quanto contro l’intero “primo mondo” che, vigliaccamente inerme, ha lasciato che un uomo, che lottava per una causa di civiltà, potesse essere tenuto in carcere per 27 lunghissimi anni: una vita. Per il suo solo pensiero, per aver avuto il coraggio di urlare al globo intero la sua indignazione verso una delle ferite all’umanità più odiose, l’apartheid, perpetratasi fino a un paio di decenni fa. E tutto questo incuranti del fatto che nel 1973 l’ONU definì l’apartheid un crimine internazionale.
Nel mio personale Pantheon tra figure come Gandhi, Martin Luther King, Madre Teresa di Calcutta, Rosa Parks, e molti altri un posto d’onore l’ho sempre riservato a questo uomo dai modi gentili, sempre sorridente, capace di guardare al futuro pur avendo vissuto ingabbiato buona parte della sua vita. E’ grazie a persone come lui che, ad un certo punto della mia vita, ho cominciato ad aprire gli occhi, a guardare il mondo in modo diverso, a credere possibile di poter lottare contro ingiustizie più grandi di noi con la forza del pensiero, con pervicacia e dedizione alla causa.
Il giorno della sua liberazione un sentimento di gioia ha pervaso il mondo perché si riparava, finalmente, ad un’ingiustizia troppo grossa, incredibilmente trascinatasi quasi fino al nuovo millennio che stava per arrivare. La sua liberazione e, l’anno prima, la caduta del muro di Berlino hanno rappresentato, per molte persone della mia età, due passaggi epocali che non potremo mai dimenticare e che ci hanno segnato l’anima, ridato speranza. Ogni volta che risento Mandela day dei Simple Minds mi faccio prendere dall’emozione e mi vengono in mente altre donne, uomini, ragazze e ragazzi che hanno dato la vita per una guerra odiosa che non avrebbero voluto combattere come Steve Biko, Victor Jara, Jan Palach molti altri che sono stati meno fortunati di lui che comunque, seppur molto tardi, una sua vita ha potuto viverla potendo anche toccare con mano la sua vittoria contro il male assoluto e cioè la crudeltà di uomini contro altri uomini.
Madiba è diventato un simbolo universale di lotta alle ingiustizie, al razzismo, alla cattiveria dell’uomo; peraltro perpetrate in una terra come il Sudafrica bellissima e ricchissima di risorse naturali nella quale alcuni potentati economici globali tenevano in piedi un odioso sistema legalizzato di segregazione tra persone con diverso colore della pelle e tutto nel colpevole silenzio dell’opulento mondo occidentale che non era nemmeno in grado di denunciare il sangue che scorreva sui diamanti provenienti da quel paese.
E non stiamo parlando del medioevo, ma di qualche decennio fa, praticamente ieri.
Quando guardo alla vita di questi personaggi solitamente mi sento un debole, un pavido perché a volte capita di fermarsi di fronte ad ingiustizie evidenti, storture del sistema; pensando di non essere in grado, facendo finta di non vedere e di non sapere, auto-convincendosi che sono cose che non ci riguardano, che non ci possiamo fare niente. Questa credo sia una delle peggiori malattie dei tempi che stiamo vivendo: l’indifferenza.
Ogni volta che leggo delle gesta di persone come Madiba mi indigno e mi ricarico allo stesso tempo dicendomi che non dovrò più rimanere inerme di fronte alle piccole e grandi angherie quotidiane alle quali ormai supinamente ci stiamo abituando sapendo di avere buoni maestri da cui attingere linfa e conoscenza come Nelson Mandela. Penso anche che spesso ci lamentiamo, soprattutto in questa epoca di crisi, di problemi che sono ridicoli di fronte ai grandi temi dell’umanità che hanno attraversato e attraversano la storia e la geografia umane e allora comincio a pensare, nel mio piccolo, alla prossima battaglia di civiltà e giustizia da portare avanti.
Grazie Madiba, un abbraccio grande come il mondo intero.