Diciamo questo non per assecondare irresponsabili campagne denigratorie nei confronti della ministra Azzolina, basate sul nulla se non becera ideologia, quanto per rimarcare lo stato comatoso nel quale la scuola pubblica versa da troppo tempo. Questo grazie a decenni di smantellamento sistematico e trasversale, destra/sinistra, di tutto ciò che è pubblico al grido di: privato è bello, pubblico è inefficienza. Ed ecco che la scuola, la sanità, i trasporti, le autostrade, la telefonia, la produzione e fornitura di energia elettrica sono andate incontro a un processo di privatizzazione tramite il quale pochi ricchi hanno incrementato a dismisura i propri patrimoni impoverendo ampie fasce di popolazione senza migliorare il livello del servizio offerto e abbassando di molto l’asticella della sicurezza. Questa corsa al profitto, basata sulle teorie economiche neo-liberiste, nonostante le molteplici avvisaglie che arrivavano da economisti, politologi, ambientalisti, è riuscita a monopolizzare e indirizzare il dibattito politico mondiale in senso meramente materialistico. Sono state letteralmente messe al bando creatività, spiritualità, etica, sobrietà, capacità di ascolto, fratellanza.
Questo processo si è anche accompagnato ad una sorta di polverizzazione del dibattito pubblico portando alla formazione di una classe politica mediocre incapace di comprendere la modernità e le reali esigenze dei cittadini badando piuttosto al proprio tornaconto personale. Ciò che impressiona in questo processo di depauperizzazione delle politiche pubbliche è la rassegnazione delle persone diventata nel tempo la causa di un assottigliamento di quella forza propulsiva e di contrasto che l’opinione pubblica e il civismo hanno sempre saputo portare in piazza e nelle opportune sedi istituzionali. L’allontanamento delle persone dall’attività politica di base, a partire dall’amministrazione degli enti locali, ha fatto sì che alle istituzioni sia stato progressivamente e subdolamente sottratto ogni potere decisionale a scapito di potentati economici sempre più grandi e invasivi in grado di determinare addirittura l’andamento e la vita sociale di interi stati.
La piaga del covid 19 ha amplificato questo fenomeno e a fronte di migliaia di attività commerciali di prossimità che hanno dovuto abbassare le serrande, le grandi piattaforme di vendita on-line hanno moltiplicato i loro utili (Amazon ha raddoppiato l'utile netto annuale portandolo a 5,2 miliardi di dollari, rispetto ai 2,6 miliardi del 2019) ponendo le condizioni per arrivare a una gestione quasi monopolistica, almeno nel mondo occidentale. Nel contempo l’opinione pubblica viene anestetizzata e tenuta in disparte con la motivazione del rischio di contagio e quindi niente più manifestazioni di piazza, incontri pubblici, assemblee, riunioni in presenza. Niente più relazioni sociali, ci si parla in chat o video-chat senza dimenticare che il divario digitale crea cittadini di serie A e di serie B perché nei paesi più sperduti riuscire a fare un collegamento via internet è ancora una chimera, altro che 5G. I datori di lavoro spingono per forme di lavoro casalingo impropriamente definito smart working perché di smart ha poco o nulla. Nelle università si fanno poche lezioni in aula e la gran parte dei corsi si svolgono on-line senza la possibilità di un confronto diretto con docenti, ricercatori, assistenti, studenti. Viviamo sempre più in un mondo virtuale e quando alcuni politici, anche locali, si riempiono la bocca con la digitalizzazione come se fosse la salvezza di un mondo che sta andando a rotoli forse è il caso di ricordare loro che la digitalizzazione è un mezzo e non certo un fine. Come ogni mezzo la sua bontà va riconosciuta in base ai risultati che porta alla società e non, nel caso specifico, ai profitti delle voraci compagnie di telecomunicazione.
Durante il periodo del lockdown in molti ci siamo illusi che gli stravolgimenti causati dalla pandemia ci avrebbe indicato con chiarezza la necessità di invertire la rotta e invece dopo una prima fase di condivisione di questo pensiero i poteri finanziari mondiali hanno ripreso saldamente in mano la situazione riducendo l’azione politica a fiumi di denaro finalizzati al rilancio delle attività imprenditoriali e produttive indipendentemente dalla loro nocività e dalla loro utilità sociale. Clamoroso è stato l’aiuto dato in Italia ai produttori di armamenti in quanto considerato settore “strategico”: vergogna.
Nonostante tutto ogni tanto qualche raggio di sole squarcia il velo dell’indifferenza ed ecco apparire le manifestazioni pacifiche e colorate dei ragazzi di Fridyas for Future oppure capita di leggere di idee e analisi che colgono nel segno e rilanciano un segnale di speranza: «Le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, dobbiamo rimettere la dignità al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno».
Questo pensiero, che ha dato lo spunto all’articolo di questa settimana, è solo un piccolo stralcio di un documento molto più esteso e articolato che potrebbe sembrare scritto da un economista keynesiano e anti liberista. Si tratta invece di un passaggio tratto dall’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco pubblicata il 3 ottobre scorso …