A dirla tutta non ci siamo mai usciti visti i continui spostamenti in avanti della scadenza dello stato di emergenza che con l’ultima proroga del Governo è stato procrastinato fino al 31 gennai 2021. Giusto un anno da quando era stato dichiarato per la prima volta. Come si sa questo fatto non è irrilevante nello svolgimento della vita pubblica italiana a partire dai poteri eccezionali di decretazione attribuiti al Presidente del Consiglio e ai Governatori delle Regioni. Come l’ha definita qualcuno si tratta di una sorta di “dittatura sanitaria” nella quale il dibattito democratico è stato sostanzialmente azzerato a partire dal Parlamento fino ai Consigli Regionali e a quelli Comunali.
I poteri eccezionali attributi dalla legge agli esecutivi sono certamente utili e legittimi per affrontare un’emergenza; il problema e che un’emergenza, in quanto tale, non può diventare la normalità e durare mesi o anni. Dovrebbe essere affrontata di petto e risolta, anche col pugno duro, ma poi si deve lavorare a testa bassa per ripristinare quanto prima le normali regole democratiche di convivenza civile. Quanto abbiamo visto in questi mesi a livello internazionale ci fa capire quanto sia importante mantenere un livello di dibattito pubblico e di scelte democratiche elevato. Scelte sbagliate di un ”uomo solo al comando” possono risultare drammatiche, basti guardare alla situazione negli USA e in Brasile per rendersi conto di come soggetti inadeguati al ruolo ricoperto e con troppo potere nelle mani possano causare disastri sociali immensi e difficilmente recuperabili, almeno nel breve termine.
Ma torniamo a noi e alla normalizzazione dell’emergenza. E’ ormai chiaro che a qualcuno una situazione di restrizioni come quelle che si stanno utilizzando per limitare la pandemia può fare comodo, molto comodo. E si va da chi detiene il potere ai grandi potentati economici che riescono a lucrare pure sulla pelle delle persone. Proviamo a immaginare alla quantità di denaro che ruoterà intorno ai vaccini, come è stato ed è per le mascherine e per i gel disinfettanti, giusto per farci un’idea di quanto a qualcuno, in fondo, questa situazione può anche stare bene così.
Come detto in precedenza è legittimo e giusto che in caso di emergenza si prendano decisioni anche drastiche però ciò che non è comprensibile e accettabile è che all’emergenza iniziale, con relativa serrata generalizzata, non sia seguita una fase, seppur enfaticamente annunciata, di ricostruzione e di rigenerazione di quel sistema di servizi pubblici che ha fatto grande l’Italia nel dopoguerra. Pensiamo alla scuola, alla sanità, ai trasporti, all’industria, al welfare di qualche decennio fa. Tutti vi potevano accedere mentre oggi se te lo puoi permettere ti fai curare dal privato se no aspetti un anno e mezzo per una colonscopia, tanto per fare un esempio concreto.
Nonostante tutti i buoni propositi della primavera scorsa dopo mesi di sostanziale liberi tutti senza regole, ma soprattutto senza intervenire, o intervenire molto limitatamente, sulle strutture sanitarie e sulle scuole, ora ci ritroviamo nella situazione del marzo scorso pregando solamente che nel frattempo la pericolosità del virus sia diminuita.
Siamo passati dalla caccia al runner solitario di marzo alla movida sconsiderata e ora ci accorgiamo che nel frattempo i lavori promessi sulle strutture pubbliche non sono stati eseguiti e ci ri-troviamo allo stesso punto di partenza. Il caso dell’Ospedale di Ivrea, del quale abbiamo parlato la settimana scorsa, è emblematico: la Regione, in base alle linee guida del Governo, chiede alle ASL di realizzare dei lavori per ampliare i reparti covid (in vista di una probabile ripresa dei contagi) e mettere in sicurezza ospedali e strutture sanitarie. Viene elaborato un progetto che viene approvato dalla Regione stessa e finanziato con 800.000 euro, viene chiuso un reparto di rianimazione e spostato il personale per poter fare i lavori e poi? Nulla, era uno scherzo, e l’assessore regionale dice che i lavori si faranno, forse, in primavera.
Ma è mai possibile che in Italia non ci siano mai responsabilità? Nessuno ricorda la disastrosa gestione in Piemonte della pandemia finita sulle prime pagine dei giornali e in televisione? Errare è umano, perseverare diabolico. Dimenticati in fretta i disastri e le inefficienze di allora sono passati sei mesi e nulla, o poco, è cambiato; non sono stati fatti i lavori di ampliamento e messa in sicurezza, non è arrivato il personale, la rete dei medici di base è stata lasciata sola come prima, per fare un tampone bisogna fare chilometri e aspettare giorni per avere l’esito. Un vero disastro e i numeri impietosamente salgono, compresi quelli dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri lamenta la mancata attivazione di 1.600 terapie intensive da parte delle Regioni. E quindi? Chi avrebbe dovuto realizzarle queste nuove 1.600 terapie intensive che mancano all’appello? Siamo al solito rimpallo tra partiti di maggioranza e minoranza mentre la situazione degenera e le persone, soprattutto quelle più deboli che andrebbero maggiormente tutelate, muoiono.
In una situazione abbastanza confusa i media mainstream non sempre fanno chiarezza. Sapere quanti contagiati nuovi ci sono è utile, ma lo sarebbe molto di più se si sapesse qual è la percentuale di nuovi positivi rispetto ai tamponi effettuati. Guarda caso ogni volta che aumenta il numero di tamponi effettuati cresce il numero di nuovi positivi. E il Piemonte che non rientra tra i primi per nuovi contagi in numero assoluto è secondo solo alla Valle d’Aosta per il coefficiente Rt che è quello descrive il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure atte a contenere il diffondersi della malattia. Il che vuol dire che si è fatto poco, troppo poco.
In molti credevano e speravano che questa prova avrebbe aiutato una classe politica mediocre ad alzare un po’ il livello, ma questa speranza si sta dimostrando vana e viene, lentamente, ma inesorabilmente, sostituita dallo sconforto. Con tutti gli occhi concentrati sul covid 19, inoltre, altri temi di vitale importanza sono praticamente usciti dall’agenda del Governo a partire dalla drammatica situazione ambientale che non può aspettare oltre o sull’altrettanto drammatica mancanza di lavoro fortemente aggravata dalla pandemia. Saranno tempi duri e solo un deciso cambio di rotta nel modo di agire della politica potrà rimettere in carreggiata un mondo che sta letteralmente andando a rotoli e ognuno di noi dovrà fare la propria parte perché non arriverà nessun salvatore della Patria o Unto del Signore a tirarci fuori dalla palude.