Per dirla in parole chiare e comprensibili: un’economia basata sui rapporti finanziari che non ricompensa il lavoro, ma la ricchezza. Per fare un esempio prendiamo il colosso dell’e-commerce Amazon; con la gente chiusa in casa per la pandemia ha aumentato all’inverosimile i propri affari e la sua capitalizzazione in borsa ha guadagnato oltre 90 miliardi di dollari da metà febbraio a fine aprile aggiungendo almeno 5 miliardi di dollari al patrimonio del suo fondatore Jeff Bezos che pare abbia superato i 140 miliardi di dollari di ricchezza personale. L’altra faccia della medaglia ci dice che, rimanendo in ambito sanitario, in Italia si discute sul bonus di qualche centinaio di euro da erogare agli operatori sanitari pubblici definiti “eroi” da certa politica parolaia e poi abbandonati a loro stessi per scoprire che sono tra i meno pagati in Europa, che nei reparti non c’è materiale medico di base - come non c’erano mascherine, camici e guanti - e ci sono almeno 300.000 prestazioni sanitarie arretrate da smaltire nel solo Piemonte con i centralini per le prenotazioni nel caos.
La pandemia ci ha messo di fronte al disastro, ma la politica finge di non vedere con le mani legate da un sistema economico sempre più vorace che non regge più e che è destinato ad implodere lasciando sul campo milioni di nuovi poveri. L’ultimo rapporto di Oxfam, l’ONG britannica che ha fatto della lotta alla povertà la sua mission, che risale al marzo del 2019 evidenzia che l’1 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede quanto il restante 99 per cento. E continua a diventare sempre più ricco grazie ad un meccanismo che gli consente di intascare l’82% della ricchezza prodotta mentre nemmeno un centesimo è finito nelle tasche del 50 per cento della popolazione più povera, che supera i 3,7 miliardi di persone. E in Italia non va molto meglio se il 20% dei più ricchi possiede oltre il 72% dell’intera ricchezza nazionale.
Si tratta di un’economia malata basata sul nulla come abbiamo potuto vedere con il crollo delle borse a seguito di covid 19: miliardi di dollari e di euro bruciati, disoccupazione mai vista fin dai tempi della crisi del 1929, aumento esponenziale della povertà che ora bussa anche alle porte di chi fino a inizio del 2020 mai avrebbe immaginato possibile una situazione del genere, sanità e istruzione pubblica disastrate incapaci di rispondere all’emergenza, ma anche alla quotidianità. Purtroppo tutto questo non è un brutto sogno ed ora che siamo usciti dalla fase emergenziale cominciamo a fare i conti con le macerie, non solo materiali. La risposta della politica con sussidi e bonus una tantum non sarà sufficiente che per qualche settimana, forse qualche mese, ma dopo? Ogni posto di lavoro perso, ogni serranda che chiude, ogni professionista senza clienti hanno dietro famiglie che a breve non sapranno come mettere insieme il pranzo con la cena.
In molti fin dall’inizio della pandemia sostenevano, noi tra questi, che questa potrebbe essere l’ultima occasione per cambiare radicalmente il paradigma del vivere civile, ma per fare questo servirebbe una rivoluzione culturale e sociale che l’attuale classe dirigente non pare in grado di poter avviare e gestire. Un chiaro segnale di inadeguatezza al compito lo si evince dal fatto che una delle poche industrie che non hanno mai chiuso i battenti per nemmeno un minuto è stata quella bellica che produce armi micidiali destinate a Paesi in guerra che magari le mettono pure in mano a bambini soldato.
Nessuna emergenza, in quanto tale, può durare per sempre e se le drastiche restrizioni messe in atto dal Governo sono state utili a fermare la diffusione del virus ora serve un cambio di marcia e una progettualità del tutto sconosciuta alla nostra classe politica. Servono interventi strutturali capaci di guardare al medio e lungo termine basati su una riconversione generalizzata dell’industria in chiave ambientale, sanitaria e tecnologica, ma incentrata sull’uomo e non sul profitto. Servirà passare da un’impostazione coercitiva delle restrizioni ad una gestione responsabile degli accorgimenti anti-contagio da mettere in atto da parte di cittadini che non sono tutti degli incivili untori. Servirà maggiore attenzione alle fasce più deboli della popolazione: dagli anziani che sono quelli che hanno pagato il prezzo più caro dell’epidemia ai giovani che, dopo mesi di reclusione forzata, devono poter tornare ad una vita sociale e scolastica in grado di far recuperare loro il tempo perduto. Non basta far ripartire il mondo dorato della serie A di calcio, bisogna dare la possibilità a milioni di ragazzi di poter svolgere una qualunque attività sportiva e di svago.
Servirà tornare a modalità di lavoro e di studio in presenza limitando allo stretto necessario asettiche video conferenze che non possono sostituirsi ad una lezione tra i banchi, ad un dibattito in aula, ad una conferenza o un concerto dal vivo. Se si vuole il metodo lo si trova, ma bisogna cambiare radicalmente abitudini e prassi consolidate anteponendo l’interesse collettivo, e quindi di molti, al profitto e al cinismo di pochi che hanno tutto l’interesse a che ognuno continui a rimanere barricato nelle proprie case magari senza più nemmeno poter scendere in piazza a manifestare. Serve poter ritornare quanto prima a vedere il sorriso di chi ci sta di fronte, stringere la mano di un conoscente, abbracciare un amico al ritorno da un viaggio.