L’Italia è il Paese più bello del mondo. Detto così potrebbe sembrare uno slogan un po’ presuntuoso, ma se analizziamo in maniera oggettiva tutte le nostre ricchezze: geomorfologiche, storiche, artistiche, archeologiche, paesaggistiche, culturali e le compariamo con gli altri paesi del mondo intero difficilmente si potrebbe sostenere il contrario.
Il caldo estivo ci ha portato, oltre a un’opprimente afa, una serie di novità dell’ultima ora dal Palazzo Municipale. Una serie di sorpresine pre-vacanziere che avrebbero potuto passare in sordina, ma che invece ci fanno riflettere, e non poco, e delle quali si discuterà molto a partire dal prossimo Consiglio Comunale che, forse, si svolgerà il 30 luglio. Diciamo forse perché su questo Consiglio, che deve svolgersi obbligatoriamente entro la fine del mese, la confusione regna sovrana.
Chi ha trovato interessante l’articolo della settimana scorsa sarà curioso di sapere come la storia delle autostrade italiane è poi andata a finire almeno fino al crollo del Ponte Morandi a Genova. La nostra ricostruzione storica si fermava al 1999 anno in cui il governo ulivista targato Prodi e D’Alema decide di privatizzare Autostrade Spa, vediamo come.
La settimana scorsa parlando di poteri forti, cioè di quei poteri economici privati che influenzano scelte pubbliche, abbiamo accennato all’annosa questione della gestione della autostrade italiane.
Per entrare maggiormente nel dettaglio su ciò che ci riguarda da vicino e cioè la scadenza, già avvenuta nel 2016, della concessione ATIVA (TO-Quincinetto, tangenziale di Torino, bretella per Santhià) può tornare utile fare una breve sintesi della storia delle autostrade in Italia.
Da un po’ di tempo a questa parte, verosimilmente dagli anni ottanta del secolo sorso, nelle analisi dei commentatori politici si legge della presenza, nel dibattito pubblico, di cosiddetti”poteri forti”. Come accade solitamente in Italia su questo tema si sono creati due schieramenti contrapposti: quelli che negano la loro esistenza e quelli che ritengono decidano le sorti del globo.
E’ passato un anno dalla tornata elettorale amministrativa che ha visto un cambio epocale alla guida della città di Ivrea. Quanto accaduto è evidentemente l’esito, quasi scontato, di un malcontento generalizzato da parte degli eporediesi verso una classe politica inadeguata e autoreferenziale, gravitante intorno allo stesso partito, senza visioni e senza il minimo entusiasmo nel ricercare il bene della città e della comunità amministrata. Partito che, come a livello nazionale, è più preoccupato dalle continue faide intestine che dall’intraprendere un vero percorso di rinnovamento in grado di riportare il dibattito pubblico, il benessere dei cittadini e il bene comune al centro dell’agenda politica.
Quando accadono eventi drammatici come quello del tentato furto ad una tabaccheria di Pavone Canavese, costato la vita ad un giovanissimo ragazzo moldavo, probabilmente il silenzio sarebbe la migliore soluzione; almeno fino quando gli organi competenti non abbiano fatto chiarezza sull'accaduto e la giustizia non abbia fatto il suo corso. A maggior ragione silenzio e cautela dovrebbero essere utilizzati da chi riveste ruoli istituzionali, e quindi pubblici, nel tentativo di smorzare i toni e di far passare la discussione dalla pancia alla testa.
Certo che noi italiani siamo proprio un popolo strano. Potremmo vivere bene, anzi benissimo, tutti, ma proprio tutti, solo utilizzando in maniera sostenibile ciò che il nostro Paese naturalmente ci offre e invece preferiamo scimmiottare gli altri, spesso importandone le abitudini peggiori.