Da qualche tempo la maggior parte dei cittadini al solo sentire la parola “politica” viene assalita da un attacco di orticaria. Lo dimostrano le percentuali sempre più basse di elettori che si recano alle urne in occasione di una votazione. Le ultime in ordine di tempo, siano esse europee, nazionali o locali, hanno visto aumentare ancora di più l’astensione e questo perchè gli elettori non si sentono più rappresentati dalla politica di quei partiti che per cinquant’anni, seppure a fasi alterne, hanno tenuto nelle proprie mani le redini della vita pubblica italiana.
Vivendo noi in una Repubblica basata sulla rappresentanza democratica viene facile capire perché oggi ci troviamo in una situazione di grande smarrimento e confusione le cui cause, un po’ troppo superficialmente vengono additate e limitate al “populismo”.
Ma cosa sarà mai questo populismo?
La settimana scorsa abbiamo parlato di come la politica delle ideologie del novecento sia arrivata al capolinea e sia necessario un percorso nuovo, tutto da inventare, in grado di re-incanalare una società globale, multi-etnica e multi-culturale, verso un futuro di pace e di benessere per tutti.
Non possiamo infatti dimenticare che nel corso del secolo breve ci sono state due sanguinosissime guerre mondiali e innumerevoli conflitti più circoscritti, ma non meno devastanti e oggi, ad inizio di terzo millennio, siamo di fronte ad un quadro generale di instabilità e di insicurezza come non mai dove i focolai di guerra sono innumerevoli e spesso sconosciuti grazie al disinteresse dei media e di chi da questa situazione si è arricchito accumulando patrimoni smisurati.
Se non la politica chi dovrebbe avere la capacità di mediare, ascoltare, discutere per disinnescare sul nascere nuove tensioni e nuovi conflitti?
Nella campagna elettorale per le amministrative abbiamo ripetuto fino allo sfinimento che il nostro essere l’unica lista realmente civica in competizione ci differenziava dalle altre forze politiche, ognuna delle quali faceva/fa riferimento a partiti o movimenti nazionali. E’ chiaro che quando si fa parte di un raggruppamento a livello nazionale, organizzato gerarchicamente, gli amministratori locali che ne fanno parte sono in qualche modo vincolati agli “ordini superiori” che arrivano dalle sedi regionali piuttosto che da quelle romane.
Per una forza civica come la nostra la battaglia, soprattutto comunicativa, è molto ardua non avendo a disposizione le risorse necessarie per raggiungere ogni singolo cittadino in maniera tale da potergli spiegare le proprie idee e i propri progetti per la città. Questo ha fatto sì che i votanti, peraltro sempre meno, nell’ultima tornata elettorale non se la sono sentita di premiare con convinzione un gruppo basato sul civismo come il nostro, che ha comunque ottenuto un ottimo risultato, e si sono rifugiati ancora una volta nelle forze politiche tradizionali portando al ballottaggio il centro-destra e il centro-sinistra. L’esito delle votazioni tutti lo conoscono ed ha premiato la coalizione di centro-destra che ha saputo convincere la maggioranza degli elettori con la promessa di un radicale cambiamento rispetto alle amministrazioni degli ultimi lustri tutte a trazione PD.
Nell’assembla dei comuni del Consorzio socio-assistenziale IN.RE.TE. di giovedì scorso il Sindaco di Ivrea, nonostante l’ormai famosa bocciatura della mozione sul tema migranti, ha votato a favore del rinnovo del Protocollo con la Prefettura. Procedura innovativa, quest’ultima, che poggia su quel sistema di accoglienza diffusa che aiuta a superare eccessive concentrazioni di persone in un singolo Comune. Fortunatamente ha prevalso il buon senso e se l’obiettivo di tutti era quello del rinnovo ora si può e si deve guardare avanti per affrontare i problemi reali che attanagliano la città perché, torniamo a ribadirlo con forza, quello dei migranti e dell’accoglienza a Ivrea e nel territorio non è un problema. Come abbiamo già scritto anche la scorsa settimana servirebbe oggi un periodo di transizione capace di andare oltre le ideologie tipiche di partiti che spesso confondono i diversi livelli di governance. Per amministrare bene una città non serve subire imposizioni dall’alto da parte di partiti nazionali impegnati su tematiche generali, a volte addirittura globali, che nulla hanno a che vedere con i bisogni quotidiani dei residenti. Un ente locale ha problematiche diverse da quelle relative allo Stato centrale ed anche i processi di analisi, elaborazione, soluzione dei problemi si dovrebbero muovere all’interno di un perimetro circoscritto e dinamico all’interno del quale i condizionamenti superiori non dovrebbero esistere indipendentemente dal far parte della maggioranza o della minoranza.