L’anno che stiamo per lasciarci alle spalle è stato, dal punto di vista politico, uno dei più confusi e deprimenti degli ultimi decenni. Quando siamo passati dalla prima alla seconda Repubblica, nei primi anni ’90, molte erano le aspettative degli italiani. Ampliando lo sguardo oltre confine, qualche anno prima, era caduto il muro di Berlino e in molti credevamo possibile una rivoluzione sociale e culturale in grado di cavalcare l’onda travolgente della globalizzazione. Purtroppo le cose non sono andate come speravamo e il mondo oggi ha il più alto numero di guerre, il più alto numero di poveri, il più alto numero di morti per fame e malattie curabili di sempre. Le disuguaglianze e le ingiustizie sono aumentate proporzionalmente all’aumentare della popolazione mondiale passata, per rimanere in un arco temporale ristretto, dai 5,6 miliardi di persone nel 1995 ai 7 miliardi del 2011.
La crisi economica oggi si fa sentire e l’incapacità della classe dirigente, con particolare riferimento a quella politica, fa sì che, parlando di spesa pubblica, uno dei primi settori assoggettati alla mannaia dei tagli indiscriminati sia diventato quello della cultura. Questo, per un paese come l’Italia che con la cultura, il turismo e tutto quanto ruota intorno al benessere psico-fisico delle persone, ci potrebbe vivere, si rivela come uno dei più classici autogol.
Questa settimana voglio utilizzare lo spazio concessomi da La Voce per parlare di un grande uomo del nostro tempo che è venuto a mancare all’età di 95 anni, 27 dei quali passati in carcere per la sua lotta all’apartheid: Nelson Mandela.
Madiba, nomignolo proveniente dal suo clan di appartenenza all’interno dell’etnia Xhosa, come lo chiamavano affettuosamente in molti, è stato, almeno per quelli della mia generazione, un esempio di integrità, passione civile e coerenza. Ha dedicato tutta la sua vita alla battaglia contro la segregazione razziale in Sudafrica. Nel 1990 venne finalmente liberato per diventare, nel 1994, il primo presidente di colore di quella “rainbow nation”, termine coniato dall’arcivescovo e attivista Desmond Tutu e più volte ripreso da lui stesso, per la quale molti hanno lottato e, tanti, troppi, hanno perso la vita, vigliaccamente torturati nelle carceri sudafricane.
Dopo il doppio Consiglio Comunale del 25 e del 27 novembre volevamo proporre qualche riflessione sul ruolo di questo organismo fondamentale nel processo democratico locale.
Partiamo dalla definizione che l’art.42 comma 1 del testo unico sugli Enti Locali gli conferisce e cioè: “il Consiglio Comunale è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”.
Si tratta di una definizione chiara e inequivocabile e quindi proviamo a fare un esercizio mentale di comparazione tra le attribuzioni conferite dalla legge e l’attività del parlamentino eporediese vissuta in questi primi mesi di mandato.
Siamo i primi! L’Italia, considerata spesso il fanalino di coda riguardo molteplici attività, per una volta sale al primo posto. Con il 23% di quota di mercato, pur contando solo l’1% della popolazione mondiale, siamo i primi fruitori al mondo di scommesse online.
Ce la caviamo bene anche con le perdite, infatti con 18,4 miliardi di euro persi nell’arco del solo 2011 deteniamo il 4,4% del mercato mondiale delle perdite al gioco.
Nella lunga storia evolutiva dell’uomo, dopo innumerevoli avanzamenti, siamo entrati in una fase discendente della quale, per ora, non si vede la fine e, soprattutto per le nuove generazioni, non si tratta certo di una bella notizia.
Tra le diverse problematiche che dobbiamo fronteggiare ce n’è una che sta assumendo i contorni del dramma ed è quella dei rifiuti. Sì proprio i rifiuti, la monnezza, gli scarti, il pattume, le eccedenze, chiamiamoli con il nome che vogliamo, ma di quello si tratta. Non si tratta di una sorpresa caduta dal cielo all’improvviso, ma la logica conseguenza delle teorie economiche neo-capitalistiche, in special modo nella loro derivazione liberista.
Parlare di Olivetti ad Ivrea è un esercizio complicato che si muove tra i fasti della grande fabbrica e la necessità di andare oltre la caduta di quello che poteva sembrare un impero indistruttibile. Noi siamo molto legati soprattutto al pensiero di Adriano Olivetti che, se rivalutato e assimilato, come ha detto recentemente sua figlia Laura, potrebbe ridare speranza per il futuro delle nuove generazioni. Serve però trovare la capacità di guardarsi intorno con occhi nuovi sapendo attualizzare e contestualizzare il grande patrimonio non solo industriale ma morale, intellettuale, culturale di quel grande pensatore illuminato del novecento italiano.
Il nuovo gioco di società delle prossime feste natalizie sarà ripetere tutte le sigle delle imposte e tributi, creati negli ultimi anni, in rapida sequenza e senza sbagliare. Chi sbaglia paga ovviamente, anche se, a giudicare dagli ultimi fatti di cronaca, non sempre ciò accade, soprattutto con i potenti.
Tarsu, Tares, Trise, Tari, Tasi, tricche, tracche … e mortaretti per i botti di fine anno.
Ad Ivrea, ma anche nell’eporediese più in generale, viviamo, spesso inconsapevolmente, immersi in un grande patrimonio. Come sappiamo un patrimonio può essere materiale, costituito quindi da beni durevoli, oppure immateriale e qui rientra tutto ciò che fa parte della tradizione, della conoscenza, della spiritualità, delle relazioni sociali in genere.
Sarà successo a tutti di dover trovare rapidamente monete e monetine per pagare il parcheggio che, ad Ivrea, è ormai quasi ovunque a pagamento.
Ci siamo domandati il senso di questa ennesima gabella (peraltro piuttosto cara) e abbiamo provato a fare qualche riflessione sulla sua origine. Siamo quindi risaliti fino al concetto di Res Publica, alla base della nostra Costituzione, che ci dice, fin da epoca romana, che il bene comune è beneficio e dovere di tutti: il beneficio consiste nell'utilizzare il bene comune (in questo caso le strade e le piazze), il dovere consiste nel pagare, attraverso le tasse: la manutenzione, il controllo e il buon uso di questo "bene" di proprietà di tutti.
Viviamo Ivrea è un gruppo di persone che si è costituito nei mesi che hanno proceduto le elezioni amministrative del maggio di quest’anno. Per costituire un insieme organizzato di individui serve ovviamente avere valori, obiettivi e visioni del mondo condivisi per poter elaborare linee di azione coerenti con gli scopi associativi. E questi ci sono.
Così iniziava una canzone, di qualche anno fa, di Ivano Fossati che raccontava, con arguzia, le contraddizioni oggi insite nel significato del termine e di ciò che esso stesso dovrebbe rappresentare. La democrazia, ci hanno insegnato fin da bambini, è quella forma di organizzazione politica e istituzionale, basata sulla volontà del popolo, che si esprime tramite il voto, che dovrebbe garantire a tutti giustizia, equità e benessere.