Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.
Da tempi non sospetti, antecedenti l’emergenza sanitaria, chiediamo, come lista civica, a questa Amministrazione di concretizzare quel cambiamento tanto sbandierato in campagna elettorale. Sono ormai passati quasi due anni dal cambio epocale al governo della città, ma di differenze sul modo di amministrarla proprio non se ne vedono, anzi, in certi frangenti va peggio di prima.
La scorsa settimana, in occasione delle prime aperture della fase 2, abbiamo provato a evidenziare alcune delle opportunità che questa pandemia ci ha messo sul piatto. Passata la fase emergenziale, oltre a fare di tutto perché il contagio non riparta, dovremo necessariamente guardare avanti, ma per fare questo servirà avere una visione della società del futuro radicalmente diversa da quella alla quale, da troppo tempo, ci eravamo abituati e assuefatti.
Ieri 4 maggio, seppur con qualche mugugno, è iniziata la lungamente attesa Fase 2 che di fatto apre, seppur parzialmente, le porte di casa a milioni di italiani dopo settimane di isolamento forzato a seguito del lockdown messo in atto dal Governo per arginare l’avanzata del coronavirus.
Il 10 marzo, quando eravamo ancora nelle prime fasi di isolamento sociale, esprimevamo, in questa stessa rubrica settimanale, l’auspicio che l’arrivo di questo virus sconosciuto avrebbe potuto farci prendere coscienza dei tanti errori che, come comunità globale, stavamo commettendo.
Siamo tutti consapevoli che l’estensione delle restrizioni finalizzate al contenimento del contagio da covid-19 ci terrà chiusi in casa almeno fino al 3 maggio.
Non potendo far altro che parlare dello tsunami socio-sanitario che sta attraversando la nostra distratta, almeno fino al 2019, società contemporanea basata sul consumo e sul denaro proviamo a guardare a un aspetto meno trattato in questo periodo, ma necessario soprattutto in vista dell’agognata fase 2.
Guardando i TG nazionali veniamo a conoscenza dei dati di Londra o di New York più che di quelli di Torino e della Regione Piemonte. Non parliamo poi dell’informazione “ufficiale” a livello locale praticamente inesistente. Fin dall’inizio della crisi abbiamo chiesto che venissero forniti i dati relativi al coronavirus dell’Ospedale di Ivrea suddivisi per Comune, ma ci è stato detto che l’Unità di Crisi ha deciso di non fornirli salvo comunicare ai singoli Sindaci i casi di nuovi positivi nel proprio Ente.
L’auspicio del titolo, senza il punto interrogativo finale aggiunto da chi scrive, che gira da qualche settimana sui social e scritto sui balconi o dalle finestre di intere famiglie barricate in casa senza nemmeno la possibilità dell’ora d’aria è ovviamente declinato al futuro.
Da giorni sentiamo ripetere questa frase e man mano che passa il tempo sempre più persone si dicono convinte che questa pandemia cambierà in maniera radicale il nostro modo di vivere. Questa prova tremenda sta mettendo l’intero globo di fronte alla constatazione che la società nella quale viviamo forse non sia così evoluta come l’abbiamo sempre creduta.
Siamo in guerra e come in tutte le guerre ogni dettaglio può fare la differenza. Una guerra contro un nemico invisibile, ma che cominciamo a conoscere sempre di più partendo dalla sua comparsa prima in Cina, dove parrebbe essere quasi scomparso, poi in Corea del Sud e in tutti quei Paesi dove finora si è manifestato con più virulenza. L’epidemia è stata ormai classificata come pandemia il che sta a significare che ha raggiunto una diffusione su scala globale decisamente ampia che coinvolge ormai 91 Paesi.
Il Coronavirus è entrato prepotentemente nelle nostre vite e gli esperti sostengono che ci rimarrà ancora per molto quindi è meglio attrezzarsi responsabilmente basandosi sui dati ufficiali e senza correre dietro all’insensato marasma che circola sui social. Ciò che è ormai chiaro a tutti è che gli stili di vita che abbiamo adottato fino allo scoppio di questa epidemia dovranno modificarsi e in alcuni casi anche radicalmente.
Nelle ultime due settimane abbiamo accennato all’esistenza di studi scientifici, sempre più numerosi, che evidenziano la potenziale dannosità delle onde elettromagnetiche, ma abbiamo anche segnalato alcune voci critiche verso questi studi, seppur quest’ultime in numero decisamente minore, soprattutto se non a libro paga delle compagnie telefoniche.
La scorsa settimana abbiamo introdotto il tema della nuova tecnologia 5G parlandone in termini generali e richiamando nel finale di articolo il “principio comunitario di precauzione” che in termini più semplici si può definire uso del buon senso. Se di una nuova tecnologia non si conoscono i potenziali effetti dannosi sulla salute il buon senso, appunto, ci consiglierebbe di procrastinarne l’utilizzo almeno fino a quando la comunità scientifica non confermerà l’inesistenza di rischi per la salute umana, quella animale e per l’ambiente.
L’inclusione di Ivrea tra le città che sperimenteranno nei prossimi 2 anni una piattaforma per la gestione di comunità intelligenti, la cosiddetta Smart city, è un’importante opportunità per la città e se un risultato l’ha già ottenuto è quello di aver acceso i riflettori sulla nuova tecnologia di telefonia mobile denominata 5G.
Che non ci sia un limite al peggio è una constatazione che sempre più spesso possiamo toccare con mano. Viviamo oggi un’epoca dove pare che l’evoluzione umana abbia preso una preoccupante deriva realizzando grandi progressi nella scienza e nella tecnologia da una parte, ma manifestando una pericolosa regressione dal punto di vista sociale, politico e culturale.
A noi piace pensare all’Amministrazione Pubblica come a un insieme organizzato di persone, accomunate dagli stessi obiettivi, nel quale ogni singolo interprete risulta fondamentale per il funzionamento efficiente ed efficace della macchina comunale.
Il Consiglio Comunale del 22 gennaio scorso ha messo in chiara evidenza l’assenza di un progetto politico-amministrativo chiaro e condiviso dalla maggioranza a trazione leghista uscita vincente dalle ultime elezioni amministrative.
L’urbanistica è un elemento di pianificazione territoriale indispensabile che dispiega le proprie linee di indirizzo attraverso il Piano Regolatore che è, di fatto, lo strumento politico più potente che un’Amministrazione ha nelle proprie mani per immaginare e plasmare il futuro di una città e del suo hinterland.
Partiamo dal presupposto che la salute e di conseguenza la vita siano, in natura, due elementi essenziali ed ineludibili senza i quali tutto il resto non assume alcun significato.
Siamo entrati in un nuovo anno e in un nuovo decennio ed è inevitabile volgere lo sguardo al recente passato per poi proiettarlo verso un futuro che sembra sempre più problematico. A livello globale le notizie degli ultimi giorni non sono certo rassicuranti e sempre più emerge la sensazione che come cittadini del mondo non siamo che elementi infinitesimali di un sistema ormai governato quasi esclusivamente da meri interessi economici privati.
Caro Babbo Natale,
ogni anno che passa qui da noi c’è come l’impressione che invece di migliorare il mondo peggiori e anche velocemente. Le ingiustizie e le disuguaglianze si moltiplicano invece di ridursi. L’egoismo e l’individualismo hanno sopraffatto il bene comune e l’interesse collettivo. Violenza, arroganza e tracotanza hanno da tempo la meglio sulla fratellanza, l’accoglienza, la solidarietà, il rispetto reciproco. Disonestà, corruzione e malaffare stanno mettendo all’angolo rettitudine, onestà, trasparenza. Il divario tra sempre meno ricchi e una moltitudine sempre più ampia di poveri sta diventando enorme e incolmabile.
“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri” sosteneva Voltaire, ma stando alle condizioni delle strutture italiane i nostri politici non hanno mai preso sul serio questa affermazione del filosofo francese. L’Italia contava infatti, al 30 aprile di quest’anno, oltre 60.439 detenuti, quasi 10.000 in più dei 50.511 posti letto ufficialmente disponibili nonostante una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci abbia condannato nel 2013, con la sentenza Torreggiani, per la violazione dell’art. 3 della Cedu per i “trattamenti inumani e degradanti” subiti dai detenuti in alcuni istituti penitenziari italiani.
Abbiamo già scritto più volte di come un certo modo di interpretare la politica tenda a rinchiudersi in sé stesso estraniandosi dal quadro istituzionale entro il quale un reale dibattito democratico si dovrebbe svolgere.
Nell’ultimo Consiglio Comunale eporediese sono stati approvati due ordini del giorno: uno con il quale si esprime lo sdegno nei confronti dell’attacco turco contro i curdi nel nord della Siria e l’altro per il conferimento della cittadinanza onoraria alla senatrice a vita Liliana Segre. Entrambi i documenti sono stati approvati all’unanimità e questo rafforza la nostra convinzione sul fatto che questioni che vanno oltre l’ordinaria amministrazione della città possono, e dovrebbero, diventare oggetto di dibattito anche in Consiglio Comunale per trovare posizioni condivise capaci di andare oltre i diktat di partito.
Sabato scorso diverse famiglie chiaveranesi hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni per precauzione a causa di alcune frane e smottamenti provenienti dal versante collinare. L’Anfiteatro Morenico di Ivrea oltre ad essere un’eccellenza geomorfologica studiata a livello mondiale, visitata e percorsa da molti turisti e amanti degli sport outdoor è anche un ambiente unico e fragile come la gran parte del territorio italiano.
Cari colleghi,
ricorderete certamente il periodo della campagna elettorale quando la vostra compagine si proponeva come alternativa all’Amministrazione uscente, a trazione PD.
Nel 1979 Lucio Dalla si trovava a Berlino senza, ovviamente, poter immaginare cosa sarebbe accaduto da lì a dieci anni esatti. Mentre è in giro per la città chiede a un taxista di accompagnarlo al Check Point Charlie, l’unico varco in quel Muro della Vergogna che divideva in due la città.
Solo la settimana scorsa scrivevamo sulle righe di questo giornale di possibili aperture dell’attuale esecutivo per un prosieguo di mandato maggiormente orientato alla condivisione e alla trasversalità nelle decisioni con particolare riguardo a quelle di maggior rilievo per l’interesse della città. Avevamo infatti appreso con favore il cambio di passo della Fondazione Guelpa, almeno nelle parole del Presidente, e la marcia indietro sulla possibile ubicazione di un nuovo centro cottura troppo frettolosamente individuata in una grande area verde proprio all’ingresso del Parco dei 5 Laghi. Consapevoli però dell’improvvisazione spesso messa in campo dall’Amministrazione scrivevamo anche che i prossimi mesi sarebbe stati fondamentali per capire se le parole e le enunciazioni di principio si sarebbero trasformate in atti concreti. E’ bastato molto meno per capire che si è trattato, purtroppo, di un’interpretazione troppo ottimistica di un nuovo corso possibile alla luce di alcune scelte, quanto meno discutibili, intraprese da giunta e maggioranza negli ultimi giorni.
Nell’ultimo periodo si sono verificate alcune circostanze, almeno due, che ci fanno pensare che qualcosa, forse, cominci a muoversi nelle modalità di affrontare il mandato amministrativo da parte dell’attuale esecutivo e della maggioranza che lo appoggia.
La nostra concezione di politica poggia su un assunto chiaro quanto semplice da comprendere che si chiama Bene Comune. Come dice la locuzione stessa si tratta di quei beni, materiali e immateriali, dei quali tutti possiamo usufruire e che tutti dovremmo concorrere a creare e salvaguardare nell’interesse della collettività.
Per cinque anni abbiamo sostenuto che la precedente Amministrazione Comunale a traino PD non avesse una visione programmatica complessiva in grado di immaginare un futuro per la nostra città, possibilmente con uno sguardo al territorio circostante; sempre iniziative sporadiche, spesso dettate dall’emergenza, nell’assoluta incapacità di pianificare investimenti di rilievo inseriti in un quadro di medio e lungo termine.
Diverse volte abbiamo parlato da queste righe di temi ambientali. Questo perché, senza eccedere in estremismi, moltissime fonti autorevoli sostengono, in maniera sempre più pressante, che la più grande sfida della storia dell’umanità sia proprio quella ambientale per evitare una catastrofe, in parte già avviata, non solo ecologica, ma anche sociale.
Dopo l’incredibile ondata di manifestazioni a livello mondiale organizzata dai ragazzi del Fridays for Future, il movimento ambientalista globale nato in seguito alle battaglie di Greta Thunberg, è doveroso spendere qualche parola su quanto accaduto perché si tratta di una data che rimarrà nella storia. Mai era accaduto infatti che in così tante città di tutto il mondo milioni di persone manifestassero pacificamente per un unico obiettivo, che in questo caso era quello di riconoscere l’emergenza climatica, spronando i potenti della Terra ad intervenire con sollecitudine.
Tra le attività virtuose che dovrebbero caratterizzare la politica, tra le quali ricordiamo costantemente: trasparenza, legalità, partecipazione, sobrietà, se ne potrebbe aggiungere una a nostro modo di vedere altrettanto importante e cioè la semplicità.
Abbiamo già affrontato qualche tempo fa da queste pagine la questione di chi sia a tirare le fila dell’attuale Amministrazione eporediese. Ovviamente il ruolo di coordinatore e di decisore finale all’interno della Giunta e del Consiglio Comunale dovrebbe essere il Sindaco, ma alcune situazioni verificatesi negli ultimi tempi parrebbero dimostrare il contrario. Da una parte ricordiamo tutti le promesse del primo cittadino in campagna elettorale riguardo una convinta discontinuità con la precedente amministrazione, rafforzate dalla sua personale garanzia di autonomia dai partiti in nome di migliori e fattivi rapporti con i cittadini e con le minoranze. Dall’altra riscontriamo continuamente che ad ogni sua affermazione o enunciazione di principi, corrisponde, sempre più spesso, una diversa presa di posizione da parte di assessori o consiglieri comunali di maggioranza imbeccati da figure esterne all’Amministrazione Comunale; fatto che ovviamente svilisce il voto con il quale i cittadini hanno scelto democraticamente i propri rappresentanti.
La scorsa settimana, partendo da qualche riflessione su quanto sta accadendo a livello nazionale, abbiamo fatto qualche accenno alla situazione politica eporediese ricordando che, soprattutto dopo il Consiglio Comunale del 30 luglio scorso, negli ultimi mesi si sono aperte una serie di questioni che dovranno trovare una risposta, possibilmente in tempi brevi.
Passato il giro di boa della fine di agosto questa strana estate sembra proprio essere giunta al termine. Anche le temperature, torride fino a qualche giorno fa, paiono aver preso la strada di un graduale abbassamento che ci porterà dritti verso un autunno che si preannuncia comunque caldo, metaforicamente parlando, per tutta una serie di motivi.
Per fortuna in Italia possiamo ancora aggrapparci nei momenti di bisogno a quell’ancora di salvezza che si chiama Costituzione della Repubblica italiana. E per fortuna ci sono ministri, alcuni addirittura vice-premier, che non la conoscono così che un giorno uno di questi, tra un bombolone, qualche selfie, un post su instagram e un giro su una moto d’acqua della Polizia di Stato decide che basta: non gioco più. Alla faccia dei contratti, degli accordi e degli impegni presi di fronte agli italiani decide, tutto per conto suo e un tantino esaltato dall’inaspettato risultato delle elezioni europee, di mandare all’aria un anno di lavoro da parte dell’esecutivo e che sia arrivata l’ora di mandare tutti a casa. A cominciare dagli altri ovviamente, in primis il premier Conte, perché lui e i suoi sodali per intanto non si sono dimessi tenendosi ben aggrappati alla poltrona.
L’Italia è il Paese più bello del mondo. Detto così potrebbe sembrare uno slogan un po’ presuntuoso, ma se analizziamo in maniera oggettiva tutte le nostre ricchezze: geomorfologiche, storiche, artistiche, archeologiche, paesaggistiche, culturali e le compariamo con gli altri paesi del mondo intero difficilmente si potrebbe sostenere il contrario.
Il caldo estivo ci ha portato, oltre a un’opprimente afa, una serie di novità dell’ultima ora dal Palazzo Municipale. Una serie di sorpresine pre-vacanziere che avrebbero potuto passare in sordina, ma che invece ci fanno riflettere, e non poco, e delle quali si discuterà molto a partire dal prossimo Consiglio Comunale che, forse, si svolgerà il 30 luglio. Diciamo forse perché su questo Consiglio, che deve svolgersi obbligatoriamente entro la fine del mese, la confusione regna sovrana.
Chi ha trovato interessante l’articolo della settimana scorsa sarà curioso di sapere come la storia delle autostrade italiane è poi andata a finire almeno fino al crollo del Ponte Morandi a Genova. La nostra ricostruzione storica si fermava al 1999 anno in cui il governo ulivista targato Prodi e D’Alema decide di privatizzare Autostrade Spa, vediamo come.
La settimana scorsa parlando di poteri forti, cioè di quei poteri economici privati che influenzano scelte pubbliche, abbiamo accennato all’annosa questione della gestione della autostrade italiane.
Per entrare maggiormente nel dettaglio su ciò che ci riguarda da vicino e cioè la scadenza, già avvenuta nel 2016, della concessione ATIVA (TO-Quincinetto, tangenziale di Torino, bretella per Santhià) può tornare utile fare una breve sintesi della storia delle autostrade in Italia.
Da un po’ di tempo a questa parte, verosimilmente dagli anni ottanta del secolo sorso, nelle analisi dei commentatori politici si legge della presenza, nel dibattito pubblico, di cosiddetti”poteri forti”. Come accade solitamente in Italia su questo tema si sono creati due schieramenti contrapposti: quelli che negano la loro esistenza e quelli che ritengono decidano le sorti del globo.
E’ passato un anno dalla tornata elettorale amministrativa che ha visto un cambio epocale alla guida della città di Ivrea. Quanto accaduto è evidentemente l’esito, quasi scontato, di un malcontento generalizzato da parte degli eporediesi verso una classe politica inadeguata e autoreferenziale, gravitante intorno allo stesso partito, senza visioni e senza il minimo entusiasmo nel ricercare il bene della città e della comunità amministrata. Partito che, come a livello nazionale, è più preoccupato dalle continue faide intestine che dall’intraprendere un vero percorso di rinnovamento in grado di riportare il dibattito pubblico, il benessere dei cittadini e il bene comune al centro dell’agenda politica.
Quando accadono eventi drammatici come quello del tentato furto ad una tabaccheria di Pavone Canavese, costato la vita ad un giovanissimo ragazzo moldavo, probabilmente il silenzio sarebbe la migliore soluzione; almeno fino quando gli organi competenti non abbiano fatto chiarezza sull'accaduto e la giustizia non abbia fatto il suo corso. A maggior ragione silenzio e cautela dovrebbero essere utilizzati da chi riveste ruoli istituzionali, e quindi pubblici, nel tentativo di smorzare i toni e di far passare la discussione dalla pancia alla testa.
Certo che noi italiani siamo proprio un popolo strano. Potremmo vivere bene, anzi benissimo, tutti, ma proprio tutti, solo utilizzando in maniera sostenibile ciò che il nostro Paese naturalmente ci offre e invece preferiamo scimmiottare gli altri, spesso importandone le abitudini peggiori.
In una sera del lontano 1962 Papa Giovanni XXIII pronunciò, ad una Piazza S.Pietro gremita per la fiaccolata che chiuse la giornata di apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, un famoso discorso che commosse il mondo intero consigliando ai tanti presenti: «Tornando a casa, troverete i vostri bambini, date loro una carezza» per poi aggiungere: «Troverete qualche lacrima da asciugare: dite loro una parola buona».
La scorsa settimana abbiamo parlato di ambiente e salute individuando questi temi come essenziali per la sopravvivenza stessa dell’uomo sulla Terra. La loro salvaguardia è pre-condizione ad ogni altro ragionamento inerente l’organizzazione della società per mezzo della politica.
Il 2018 è stato l’anno più caldo dal 1800 e i problemi che riscontriamo a causa dei cambiamenti climatici, causati in primis dal surriscaldamento globale, sono ormai acclarati e inconfutabili. Gli effetti di questa trasformazione si riscontrano ormai facilmente e vanno dallo scioglimento dei ghiacciai all’acidificazione degli oceani, dall’avanzare della desertificazione alla tropicalizzazione del clima.
Qualche giorno fa si è consumato l’atto finale, almeno per ora, di un progetto nato male e gestito peggio: quello del supermercato, l’ennesimo, che si sarebbe dovuto costruire nell’area di casa Molinario (ex Centro prelievi dell’ASL) proprio di fronte alla Stazione.
L’errore originario, se così lo possiamo definire, è stato quello di chiedere alla società proponente una modifica radicale del primo progetto presentato anni fa che prevedeva il solo riutilizzo dei volumi esistenti per la costruzione di un edificio, all’incirca delle stesse dimensioni, ma posizionato sul fronte di corso Nigra. Questo è, più o meno, quanto il vigente Piano Regolatore consentiva e consente di fare.
Nell’ultimo Consiglio Comunale si è consumata l’ennesima disputa su quella storia infinita che pare essere diventata la gestione della Fondazione Guelpa. Fa un certo effetto dover riscontrare come un ente nato per gestire un lascito sulla cultura, con una consistente dotazione patrimoniale pari a oltre 7 milioni di euro, sia riuscito a creare così tanti grattacapi alle amministrazioni comunali che si sono avvicendate fin dalla data della sua costituzione nel 2015. Nello scorso mandato fu l’allora Sindaco Della Pepa a rassegnare le proprie dimissioni piuttosto che revocare la nomina del Presidente. Oggi si discute su modalità di gestione non troppo trasparenti e per le quali si chiedono da tempo dei chiarimenti alla luce di possibili irregolarità ovviamente tutte da dimostrare, ma che se non chiarite continueranno a lasciare un’ombra su un ente che vive oggi una fase piuttosto confusa e che ha visto negli ultimi tempi dimissioni a catena.
Quando si cita il termine politica la reazione più probabile, oggi, di un cittadino italiano è quella di fastidio se non di vero e proprio rifiuto. Questo accade perché decenni e decenni di gestione del potere tramite pratiche clientelari e malversazioni di vario tipo hanno snaturato completamente il significato ed anche il ruolo, fondamentale, che la politica, quella vera, dovrebbe svolgere all’interno di una società evoluta e civile.
La decisione dell'Asl To3 che getta nel baratro il futuro del CIC è esplosa come un fulmine a ciel sereno, ma – riflettendoci – viene da chiedersi se non fosse proprio questa (la messa in liquidazione) la fine che qualcuno si attendeva. Qualcuno infatti da questa vicenda qualcosa guadagnerà a partire da chi rileverà gli 8 milioni di commesse che il CIC non potrà più onorare.
Un qualcuno che, forse, ha tentato il colpo gobbo, sperando che fosse il Comune di Ivrea a interpretare il ruolo del carnefice: se la scorsa settimana la delibera per il salvataggio non fosse passata in Consiglio comunale, i giochi sarebbero stati fatti e l'amministrazione cittadina si sarebbe vista addossare le colpe per la fine del Cic. Anche per questa ragione ViviamoIvrea ha votato a favore della famosa delibera: per fare tutto il possibile per tentare di salvare 136 posti di lavoro. Un voto di coscienza, quello di Francesco Comotto dettato non da logiche politiche o ideologiche, ma espresso come segno di solidarietà verso i lavoratori e le loro famiglie, cittadini che pagheranno colpe non loro, nella convinzione che all'interno di quell'azienda ci sono le risorse, la tecnologia, la professionalità, le capacità tecniche per farla rinascere.
I lettori che seguono le vicende della politica cittadina ricorderanno che nella campagna elettorale dello scorso anno tutte le forze scese in campo, compreso chi aveva governato la città negli ultimi decenni, si sono prodigate a promettere, in caso di vittoria, un cambiamento o comunque un cambio di passo nei confronti del passato.
Passi che proporre un cambiamento da parte delle forze che prima sedevano nei banchi della minoranza faccia parte delle normali dinamiche elettorali però bisogna anche dimostrare poi, nel caso di vittoria, di sapere e di volere mantenere le promesse fatte ai cittadini; soprattutto ora che è passato quasi un anno dalle elezioni.
La politica dovrebbe essere soprattutto ascolto e risoluzione dei problemi in nome del bene comune. Siamo invece, purtroppo, abituati a vedere e a pensare alla politica come a una continua lotta tra fazioni o categorie sociali: destra vs sinistra, partiti vs movimenti, ricchi vs poveri, indigeni vs stranieri e così discorrendo. Come se non potessero esistere iniziative da portate avanti insieme da maggioranza e minoranza semplicemente ragionando nell'interesse della comunità e della collettività.
La politica dovrebbe, a nostro modo di vedere, saper individuare, ascoltare, recepire, analizzare le problematiche che segnano la nostra quotidianità per poi affrontarle, soprattutto in alcuni casi, con determinazione e risolutezza.
Servirebbe anche avere ben chiara in testa una scala di priorità perché se l’erba alta in un’aiuola può aspettare una settimana prima di venire tagliata un vetro rotto in una scuola andrebbe sostituito il prima possibile, soprattutto d’inverno.
Chi si occupa di amministrazione pubblica sa quanto sia difficile individuare scale di priorità perché ci sarebbe bisogno di soddisfare molteplici necessità, parecchie delle quali diventate impellenti a causa della scarsa attenzione riservata loro in passato da una politica a dir poco disattenta.
La mattina del 14 agosto 2018, quando alle 11,36 sono crollati 200 metri del viadotto Morandi di Genova, verrà ricordata per molto tempo e potrebbe diventare uno spartiacque nella storia italiana. Si è trattato di una strage di vittime innocenti, 43 per la precisione oltre una decina di feriti e circa 600 sfollati. Numeri che si sentono solo in guerra. Numeri determinati da un’assurda lotteria di morte. La storia di ogni persona, di ogni famiglia coinvolta è straziante quanto casuale: chi stava andando al lavoro, chi in vacanza, chi a trovare dei parenti, chi aveva sbagliato strada e stava ritornando sui suoi passi e altrettanto toccante è la questione cronologica. Chi ha sorpassato un camion è finito nel baratro salvando di fatto l’autista di quel mezzo pesante che ha rallentato, chi ha trovato un semaforo rosso prima dell’ingresso in autostrada, chi ha fatto sosta all’autogrill, chi aveva l’auto in panne, chi si è fermato per una telefonata magari si è salvato oppure è stato ingoiato dalla voragine: casualità pura.
Giovedi 12 luglio si è svolto il primo Consiglio Comunale che ha visto l’insediamento della nuova Amministrazione formatasi in seguito al voto del 10 giugno e del successivo ballottaggio del 24. Si è trattato di un passaggio formale fatto più che altro di atti istituzionali come la comunicazione della composizione della giunta e il giuramento del Sindaco.
Il passaggio più significativo dal punto di vista politico è stato certamente l’elezione del Presidente del Consiglio che, su proposta della maggioranza, è diventato il rappresentante di Forza Italia Diego Borla. Nulla da obiettare sull’amico e collega consigliere, ma nell’intervento in aula abbiamo evidenziato la nostra disapprovazione riguardo il processo di individuazione di tale ruolo istituzionale che ricordiamo essere una figura di garanzia, quindi trasversale, che dovrebbe garantire il buon funzionamento del Consiglio Comunale e i diritti stabiliti dalla legge a tutti i consiglieri, indipendentemente dalla loro appartenenza a gruppi di maggioranza o di minoranza. Proprio a questo proposito abbiamo evidenziato che fino a qualche decennio fa, tale importante ruolo, anche a livelli istituzionali più alti come la Camera e il Senato, tanto per fare un paio di esempi, in nome di un certo fair play istituzionale oggi abbandonato, veniva assegnato ad un componente di una forza di minoranza. Da qualche decennio ciò non accade più e si tratta di una di quelle abitudini da “prima Repubblica” che forse sarebbe stato meglio non “rottamare” con troppa superficiale fretta.
Da qualche tempo la maggior parte dei cittadini al solo sentire la parola “politica” viene assalita da un attacco di orticaria. Lo dimostrano le percentuali sempre più basse di elettori che si recano alle urne in occasione di una votazione. Le ultime in ordine di tempo, siano esse europee, nazionali o locali, hanno visto aumentare ancora di più l’astensione e questo perchè gli elettori non si sentono più rappresentati dalla politica di quei partiti che per cinquant’anni, seppure a fasi alterne, hanno tenuto nelle proprie mani le redini della vita pubblica italiana.
Vivendo noi in una Repubblica basata sulla rappresentanza democratica viene facile capire perché oggi ci troviamo in una situazione di grande smarrimento e confusione le cui cause, un po’ troppo superficialmente vengono additate e limitate al “populismo”.
Ma cosa sarà mai questo populismo?
La settimana scorsa abbiamo parlato di come la politica delle ideologie del novecento sia arrivata al capolinea e sia necessario un percorso nuovo, tutto da inventare, in grado di re-incanalare una società globale, multi-etnica e multi-culturale, verso un futuro di pace e di benessere per tutti.
Non possiamo infatti dimenticare che nel corso del secolo breve ci sono state due sanguinosissime guerre mondiali e innumerevoli conflitti più circoscritti, ma non meno devastanti e oggi, ad inizio di terzo millennio, siamo di fronte ad un quadro generale di instabilità e di insicurezza come non mai dove i focolai di guerra sono innumerevoli e spesso sconosciuti grazie al disinteresse dei media e di chi da questa situazione si è arricchito accumulando patrimoni smisurati.
Se non la politica chi dovrebbe avere la capacità di mediare, ascoltare, discutere per disinnescare sul nascere nuove tensioni e nuovi conflitti?
Nella campagna elettorale per le amministrative abbiamo ripetuto fino allo sfinimento che il nostro essere l’unica lista realmente civica in competizione ci differenziava dalle altre forze politiche, ognuna delle quali faceva/fa riferimento a partiti o movimenti nazionali. E’ chiaro che quando si fa parte di un raggruppamento a livello nazionale, organizzato gerarchicamente, gli amministratori locali che ne fanno parte sono in qualche modo vincolati agli “ordini superiori” che arrivano dalle sedi regionali piuttosto che da quelle romane.
Per una forza civica come la nostra la battaglia, soprattutto comunicativa, è molto ardua non avendo a disposizione le risorse necessarie per raggiungere ogni singolo cittadino in maniera tale da potergli spiegare le proprie idee e i propri progetti per la città. Questo ha fatto sì che i votanti, peraltro sempre meno, nell’ultima tornata elettorale non se la sono sentita di premiare con convinzione un gruppo basato sul civismo come il nostro, che ha comunque ottenuto un ottimo risultato, e si sono rifugiati ancora una volta nelle forze politiche tradizionali portando al ballottaggio il centro-destra e il centro-sinistra. L’esito delle votazioni tutti lo conoscono ed ha premiato la coalizione di centro-destra che ha saputo convincere la maggioranza degli elettori con la promessa di un radicale cambiamento rispetto alle amministrazioni degli ultimi lustri tutte a trazione PD.
Nell’assembla dei comuni del Consorzio socio-assistenziale IN.RE.TE. di giovedì scorso il Sindaco di Ivrea, nonostante l’ormai famosa bocciatura della mozione sul tema migranti, ha votato a favore del rinnovo del Protocollo con la Prefettura. Procedura innovativa, quest’ultima, che poggia su quel sistema di accoglienza diffusa che aiuta a superare eccessive concentrazioni di persone in un singolo Comune. Fortunatamente ha prevalso il buon senso e se l’obiettivo di tutti era quello del rinnovo ora si può e si deve guardare avanti per affrontare i problemi reali che attanagliano la città perché, torniamo a ribadirlo con forza, quello dei migranti e dell’accoglienza a Ivrea e nel territorio non è un problema. Come abbiamo già scritto anche la scorsa settimana servirebbe oggi un periodo di transizione capace di andare oltre le ideologie tipiche di partiti che spesso confondono i diversi livelli di governance. Per amministrare bene una città non serve subire imposizioni dall’alto da parte di partiti nazionali impegnati su tematiche generali, a volte addirittura globali, che nulla hanno a che vedere con i bisogni quotidiani dei residenti. Un ente locale ha problematiche diverse da quelle relative allo Stato centrale ed anche i processi di analisi, elaborazione, soluzione dei problemi si dovrebbero muovere all’interno di un perimetro circoscritto e dinamico all’interno del quale i condizionamenti superiori non dovrebbero esistere indipendentemente dal far parte della maggioranza o della minoranza.
La settimana scorsa facevamo notare una certa calma da parte dell’esecutivo nell’attuare due mozioni approvate all’unanimità dal Consiglio Comunale non avendo ancora ricevuto notizia, alla data di redazione dell’articolo, della convocazione delle riunioni richieste. Probabilmente Sindaco e Giunta le stavano pianificando e questa settimana entrambe sono state definite. Andando con ordine il tavolo allargato per la pista ciclabile di corso M.D’Azeglio è stato delegato alla Commissione consiliare Assetto del Territorio, che si occupa anche di viabilità e ambiente, mentre la riunione sull’impiantistica sportiva è stata convocata lunedi e si è svolta giovedì 4 ottobre in Municipio.
Alla riunione, dalla parte degli amministratori, hanno partecipato il Sindaco, con delega allo sport, la vice Sindaca, la Consigliera Girelli, in qualità di Presidente della Commissione Sport e il sottoscritto invitato come proponente della mozione e componente della stessa commissione.
Sabato tredici ottobre si è svolta la nona edizione del Morenic Trail, una corsa che si snoda lungo la cresta dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea per 119 km con partenza da Andrate e arrivo a Brosso con un dislivello totale positivo di 2540 metri.
Al di là della valenza sportiva di questa competizione, ormai diventata internazionale e conosciuta in tutto il mondo, è interessante fare qualche considerazione sulle potenzialità, materiali e immateriali, che eventi come questo potrebbero esprimere sul territorio nel quale viviamo. A fare da contraltare ci sono però una serie di criticità, più che altro legate ad anacronistiche abitudini e sterili campanilismi, che in un prossimo futuro bisognerà affrontare con decisione e coraggio.
Un territorio fortemente segnato dal ridimensionamento industriale causato dalla fine della Olivetti e che fatica a ritrovare una sua identità capace di andare oltre, metaforicamente parlando, alla macchina da scrivere che tanto ha voluto dire per le generazioni che ci hanno preceduto.
Lunedì 15 ottobre si è svolto un Consiglio Comunale fiume, il quarto della nuova Amministrazione, che ci ha tenuti impegnati dalle 18 a fin dopo la mezzanotte. Se da una parte la stanchezza si è fatta sentire dall’altra vuol dire che gli argomenti trattati sono stati interessanti e il dibattito approfondito. Al di là delle solite posizioni aprioristiche e ideologiche di qualcuno non abituato, quando era al potere, a discutere fattivamente dei problemi della città e dei cittadini, una differenza evidente con il quinquennio precedente è che il Consiglio Comunale è tornato ad essere il fulcro della vita politica cittadina e le commissioni consiliari, compresa la Conferenza dei capigruppo, lavorano in maniera propositiva nell’interesse della città.
Fin qui crediamo nessuno possa sostenere il contrario perché si tratta di un dato oggettivo. Noi di ViviamoIvrea diciamo da sempre, e per questo siamo stati più volte attaccati dai nostalgici della partitocrazia e dei privilegi di sistema, che per amministrare una città, soprattutto se piccola come la nostra, non servono certo bandiere o dogmi ideologici, ma pragmatismo, buona volontà, capacità di ascolto e di discussione e una buona dose di sano realismo.
Ognuno di noi ha avuto e può avere tutt’ora dei punti di riferimento che hanno contributo ad arricchirne il pensiero, il comportamento, il senso di appartenenza ad una comunità. Per chi, come me, ha avuto la fortuna di nascere e vivere ad Ivrea due sono le persone che maggiormente hanno influenzato la mia crescita morale e intellettuale: Adriano Olivetti e il Vescovo emerito Monsignor Luigi Bettazzi.
Olivetti ha sempre ispirato la mia attività di amministratore pubblico e la formazione più prettamente politica in quell’ottica di superamento dei partiti tradizionali che lui stesso vedeva già allora (parliamo della parte centrale del novecento) arrivati a fine corsa nelle sue elaborazioni teoriche. Scrive Giancarlo Bosetti su Reset: “L’ispirazione liberal-sociale dell’imprenditore di Ivrea contrastava l’egemonia della Dc a destra e del Pci a sinistra, con un’idea di autogoverno basato su piccole comunità, e collocava al centro della vita pubblica la capacità critica della persona-cittadino, non le grandi organizzazioni di parte”.
Se è abitudine dei media, o per lo meno di alcune tipologie di media, tenere sott’occhio e criticare a prescindere il potere costituito dovrebbe invece essere compito della politica e degli amministratori pubblici andare oltre la mera critica dell’avversario mettendo in campo anche una responsabile attività propositiva. E’ ovvio che a giovarsene sarebbero la collettività e il bene comune.
Perché questo non accade nella politica contemporanea nel mondo, non tutto, e in particolar modo in Italia? Per quanto riguarda i media perchè in larghissima maggioranza sono schierati e partigiani, spesso con mani e penne legate dall’editore di riferimento. Per quanto riguarda i politici perché è diventato di accezione comune il fatto che chi ha perso le elezioni e si trova in minoranza si deve “opporre” aprioristicamente a chi le elezioni le ha vinte indipendentemente dai contenuti e dal merito delle proposte presentate. Ovviamente questo vale sia per il livello nazionale che per quello locale ed è una delle caratteristiche peculiari dei partiti che il loro “essere di parte” lo manifestano già nell’etimo.
Nel weekend appena trascorso ci sono stati ad Ivrea due eventi molto interessanti che dal nostro punto di vista dovrebbero venire attentamente considerati dalla politica in quanto portatori di idee innovative e proiettate al futuro. Proprio ciò che manca in genere all’amministrazione pubblica italiana e in particolar modo ad Ivrea dove l’ultima opera pubblica, realizzata a cavallo delle elezioni, anziché risolvere i problemi pre-esistenti, ne ha creati di nuovi.
Venerdi mattina al Teatro Giacosa si è svolta l’Assemblea Generale dell’Associazione Europea delle Vie Francigene. Nello splendido scenario del teatro cittadino i relatori internazionali e nazionali, con un importante spazio anche per alcune esperienze locali, hanno raccontato ai presenti la loro esperienza riguardo questo percorso turistico relativamente recente, ma non solo. Si tratta infatti della riproposizione di un pellegrinaggio. Nel caso specifico quello del Vescovo Sigerico che in un suo viaggio di rientro da Roma verso Canterbury, nell’anno 990, annotò dettagliatamente tutto il percorso suddividendolo in 79 tappe. Questa idea nata nel 1987 è stata riconosciuta nel 1994 dal Consiglio d’Europa che lo ha dichiarato “ Itinerario Culturale Europeo” analogamente al Cammino di Santiago de Compostela in Spagna.
“Restiamo umani …” soleva ripetere il giornalista, scrittore, attivista e pacifista Vittorio Arrigoni alla fine di ogni suo reportage. La frase completa dalla quale aveva estratto questa locuzione continuava con: “… anche quando intorno a noi l’umanità pare si perda”. Pronunciava queste parole dalla striscia di Gaza dove si era messo dalla parte dei più deboli e dove venne vigliaccamente ucciso, a soli 36 anni, il 15 aprile del 2011. Aveva viaggiato come volontario nell’Est europeo e nell’Africa sub-sahariana prima di arrivare a Gerusalemme e poi nella striscia di Gaza. Alla luce dell’esperienza acquisita sul campo le sue parole assumono un significato simbolico sul quale dovremmo più spesso fermarci a riflettere.
Archiviato il singolare Consiglio Comunale della scorsa settimana fatto di sole interpellanze, mozioni, ordini del giorno, e quindi senza delibere, il 27 novembre, si terrà una nuova seduta del parlamentino eporediese.
All’ordine del giorno ci saranno l’approvazione di un regolamento e la settima variazione di bilancio dell’anno. Per quanto riguarda quest’ultima ovviamente aspettiamo il dibattito in aula, ma leggendo le cifre e le voci di spesa proposte dall’esecutivo ci sembra si tratti di una variazione che va nella direzione da molti auspicata in campagna elettorale e cioè quella di dare priorità agli interventi di manutenzione del patrimonio immobiliare pubblico tentando di rispondere alle molteplici richieste dei diversi uffici reiterate nel tempo e rimaste spesso senza una risposta.
Martedì scorso si è svolto un Consiglio Comunale nel quale oltre a una variazione di bilancio sono stati affrontati alcuni temi di rilievo grazie, soprattutto, agli spunti forniti da alcune interpellanze, mozioni e ordini del giorno.
Dal dibattito è emerso sempre più chiaramente ciò che, come lista civica, andiamo sostenendo da tempo e cioè che gli attuali partiti, indipendentemente dal colore politico, non riescono a mettere da parte le ideologie e le prese di posizione aprioristiche. Ogni qualvolta si presenta l’occasione ecco ergersi un muro contro muro tra quelle che oggi sono fazioni opposte a livello centrale correndo il rischio che l’interesse della città possa venir messo da parte in nome di posizionamenti esclusivamente basati su questioni nazionali.
In un precedente articolo facevamo notare una delle particolarità negative dell’attuale modo di concepire la politica e cioè l’abitudine di considerare sbagliato tutto ciò che la parte avversa fa o non fa. Se fa, avrebbe dovuto farlo diversamente, se non fa, avrebbe dovuto agire più tempestivamente. Noi da sempre ci dichiariamo avulsi da questo modo di concepire la politica per il semplice motivo che se un’azione proposta dalla maggioranza è finalizzata al miglioramento della città e del livello di benessere dei cittadini non c’è nessun motivo per non appoggiarla, indipendentemente dal colore politico dei proponenti.
I lettori eporediesi certamente sono a conoscenza dell’esistenza della Fondazione Guelpa. Un istituto creato nel 2005 per concretizzare le volontà testamentarie della benefattrice signora Lucia Guelpa deceduta nel 2003. Si legge sul sito internet della Fondazione stessa: “Prima della sua morte Lucia Guelpa, nel suo testamento, legò al Comune di Ivrea i propri beni e, alla sua morte, avvenuta nel 2003, la Città di Ivrea si trovò così erede della collezione Croff di dipinti, di un appartamento a Ivrea e di un consistente capitale destinato a realizzare un’opera durevole di cultura, con interventi di potenziamento della Biblioteca civica e di miglioramento della fruibilità del Museo Garda”.
Anche grazie a una nostra mozione, approvata all’unanimità nel Consiglio Comunale del 27 novembre scorso, che metteva in luce alcune delle tante criticità esistenti nella sanità pubblica si sono accesi finalmente i riflettori, a livello locale, su un tema, quello della salute, che riguarda tutti noi e che rappresenta uno dei maggiori costi della spesa pubblica italiana. Costi a volte inutili, spesso abnormi e ingiustificati, per i quali servirebbe un profondo processo di revisione e di riorganizzazione dell’intero sistema e di “pulizia” da evidenti storture, spesso al limite della legalità, come ad esempio la disparità di costo del prezzo dei farmaci. Su questo tema, nel quasi totale silenzio dei media, il 10 dicembre scorso, il Ministero della Salute ha pubblicato il Documento di programmazione della nuova governance farmaceutica che dovrebbe portare ad un radicale aggiornamento del Prontuario dei farmaci le cui ultime modifiche, grazie alla forte resistenza delle case farmaceutiche, risalgono a ben 13 anni fa.
Chi segue l’attività di Viviamo Ivrea avrà capito che la trasparenza dell’azione della Pubblica Amministrazione è per noi un elemento imprescindibile. Se ci sono trasparenza e chiarezza si riducono fortemente le possibilità che nei vari procedimenti amministrativi si possano annidare criticità che potrebbero causare strascichi politici e legali. Iniziative, queste, che farebbero dilatare i tempi di attuazione di decisioni prese magari superficialmente senza averne valutato tutte le conseguenze.
L'ennesima occasione persa per una progettazione del territorio partecipata
Si è fatto un gran parlare nelle ultime settimane del Piano Esecutivo Convenzionato di via di Chiodi e come lista civica abbiamo preso una nostra posizione, presentando anche una mozione che verrà discussa nel Consiglio Comunale del 10 febbraio. Proviamo a spiegare il nostro punto di vista partendo da una breve sintesi dell'oggetto. Si parla di un'area normativa definita “Ambito di trasformazione” sulla quale si può edificare con dei parametri di superficie pre-definiti che riguardano tre tipologie: ACE dove si concentra l'edificazione, VE dove si concentra il verde privato e VS destinata a verde, mobilità, servizi pubblici e d'interesse collettivo. E' su quest'ultima area, quella pubblica, che dovrà essere pari al 70% dell'intera superficie, che concentriamo la nostra attenzione così come hanno fatto i residenti del quartiere. Va anche detto che le opere cosiddette di urbanizzazione primaria possono essere realizzate utilizzando gli oneri di urbanizzazione che il proponente dovrà versare nelle casse comunali e si parla di qualche decina di migliaia di euro.
Nell'ultimo Consiglio Comunale del 14 marzo scorso, svoltosi dopo ben tre mesi da quello precedente e chiuso dopo una seduta fiume verso le tre del mattino, è stato approvato il primo bilancio preventivo della nuova amministrazione. E' evidente che prendere in mano la situazione gestionale e contabile lasciata dalla conformazione politica che ha governato negli ultimi decenni non è cosa semplice. A maggior ragione se nella nuova maggioranza e nell'esecutivo pochi sono i soggetti che hanno avuto un'esperienza di amministrazione pubblica. C'è stato certamente l'impegno a voler comprendere e questo può in parte giustificare il lungo lasso di tempo intercorso dall'ultima assise di dicembre però, come abbiamo evidenziato in aula, questa situazione di stallo istituzionale non si dovrà più ripetere anche perché oltre il bilancio molti altri sono gli argomenti di competenza del Consiglio Comunale che non possono rimanere in un cassetto per troppo tempo.
La sentenza della Corte d’Appello di Bologna che ha dimezzato la pena, da 30 a 16 anni, all’omicida, ex compagno da poco più di un mese, di Olga Matei ci sbatte per l’ennesima volta in faccia il livello di imbarbarimento della società del terzo millennio. Tutti abbiamo letto che l’attenuazione della pena è stata giustificata dal giudice per il fatto che si è trattato di una “tempesta emotiva” determinata dalla gelosia. Ciò che sconvolge è che questa aberrazione non è uscita da quattro chiacchiere al bar, ma dall’aula di un Tribunale della Repubblica.
E’ anche vero che viviamo in un Paese dove fino al 1981 vigevano le disposizioni sul “delitto d’onore”, con l’art. 587 del Codice Penale che recitava: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”, una pena irrisoria per chi commette un omicidio.
L’anno che stiamo per lasciarci alle spalle è stato, dal punto di vista politico, uno dei più confusi e deprimenti degli ultimi decenni. Quando siamo passati dalla prima alla seconda Repubblica, nei primi anni ’90, molte erano le aspettative degli italiani. Ampliando lo sguardo oltre confine, qualche anno prima, era caduto il muro di Berlino e in molti credevamo possibile una rivoluzione sociale e culturale in grado di cavalcare l’onda travolgente della globalizzazione. Purtroppo le cose non sono andate come speravamo e il mondo oggi ha il più alto numero di guerre, il più alto numero di poveri, il più alto numero di morti per fame e malattie curabili di sempre. Le disuguaglianze e le ingiustizie sono aumentate proporzionalmente all’aumentare della popolazione mondiale passata, per rimanere in un arco temporale ristretto, dai 5,6 miliardi di persone nel 1995 ai 7 miliardi del 2011.
La crisi economica oggi si fa sentire e l’incapacità della classe dirigente, con particolare riferimento a quella politica, fa sì che, parlando di spesa pubblica, uno dei primi settori assoggettati alla mannaia dei tagli indiscriminati sia diventato quello della cultura. Questo, per un paese come l’Italia che con la cultura, il turismo e tutto quanto ruota intorno al benessere psico-fisico delle persone, ci potrebbe vivere, si rivela come uno dei più classici autogol.
Questa settimana voglio utilizzare lo spazio concessomi da La Voce per parlare di un grande uomo del nostro tempo che è venuto a mancare all’età di 95 anni, 27 dei quali passati in carcere per la sua lotta all’apartheid: Nelson Mandela.
Madiba, nomignolo proveniente dal suo clan di appartenenza all’interno dell’etnia Xhosa, come lo chiamavano affettuosamente in molti, è stato, almeno per quelli della mia generazione, un esempio di integrità, passione civile e coerenza. Ha dedicato tutta la sua vita alla battaglia contro la segregazione razziale in Sudafrica. Nel 1990 venne finalmente liberato per diventare, nel 1994, il primo presidente di colore di quella “rainbow nation”, termine coniato dall’arcivescovo e attivista Desmond Tutu e più volte ripreso da lui stesso, per la quale molti hanno lottato e, tanti, troppi, hanno perso la vita, vigliaccamente torturati nelle carceri sudafricane.
Dopo il doppio Consiglio Comunale del 25 e del 27 novembre volevamo proporre qualche riflessione sul ruolo di questo organismo fondamentale nel processo democratico locale.
Partiamo dalla definizione che l’art.42 comma 1 del testo unico sugli Enti Locali gli conferisce e cioè: “il Consiglio Comunale è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”.
Si tratta di una definizione chiara e inequivocabile e quindi proviamo a fare un esercizio mentale di comparazione tra le attribuzioni conferite dalla legge e l’attività del parlamentino eporediese vissuta in questi primi mesi di mandato.
Siamo i primi! L’Italia, considerata spesso il fanalino di coda riguardo molteplici attività, per una volta sale al primo posto. Con il 23% di quota di mercato, pur contando solo l’1% della popolazione mondiale, siamo i primi fruitori al mondo di scommesse online.
Ce la caviamo bene anche con le perdite, infatti con 18,4 miliardi di euro persi nell’arco del solo 2011 deteniamo il 4,4% del mercato mondiale delle perdite al gioco.
Nella lunga storia evolutiva dell’uomo, dopo innumerevoli avanzamenti, siamo entrati in una fase discendente della quale, per ora, non si vede la fine e, soprattutto per le nuove generazioni, non si tratta certo di una bella notizia.
Tra le diverse problematiche che dobbiamo fronteggiare ce n’è una che sta assumendo i contorni del dramma ed è quella dei rifiuti. Sì proprio i rifiuti, la monnezza, gli scarti, il pattume, le eccedenze, chiamiamoli con il nome che vogliamo, ma di quello si tratta. Non si tratta di una sorpresa caduta dal cielo all’improvviso, ma la logica conseguenza delle teorie economiche neo-capitalistiche, in special modo nella loro derivazione liberista.
Parlare di Olivetti ad Ivrea è un esercizio complicato che si muove tra i fasti della grande fabbrica e la necessità di andare oltre la caduta di quello che poteva sembrare un impero indistruttibile. Noi siamo molto legati soprattutto al pensiero di Adriano Olivetti che, se rivalutato e assimilato, come ha detto recentemente sua figlia Laura, potrebbe ridare speranza per il futuro delle nuove generazioni. Serve però trovare la capacità di guardarsi intorno con occhi nuovi sapendo attualizzare e contestualizzare il grande patrimonio non solo industriale ma morale, intellettuale, culturale di quel grande pensatore illuminato del novecento italiano.
Il nuovo gioco di società delle prossime feste natalizie sarà ripetere tutte le sigle delle imposte e tributi, creati negli ultimi anni, in rapida sequenza e senza sbagliare. Chi sbaglia paga ovviamente, anche se, a giudicare dagli ultimi fatti di cronaca, non sempre ciò accade, soprattutto con i potenti.
Tarsu, Tares, Trise, Tari, Tasi, tricche, tracche … e mortaretti per i botti di fine anno.
Ad Ivrea, ma anche nell’eporediese più in generale, viviamo, spesso inconsapevolmente, immersi in un grande patrimonio. Come sappiamo un patrimonio può essere materiale, costituito quindi da beni durevoli, oppure immateriale e qui rientra tutto ciò che fa parte della tradizione, della conoscenza, della spiritualità, delle relazioni sociali in genere.
Sarà successo a tutti di dover trovare rapidamente monete e monetine per pagare il parcheggio che, ad Ivrea, è ormai quasi ovunque a pagamento.
Ci siamo domandati il senso di questa ennesima gabella (peraltro piuttosto cara) e abbiamo provato a fare qualche riflessione sulla sua origine. Siamo quindi risaliti fino al concetto di Res Publica, alla base della nostra Costituzione, che ci dice, fin da epoca romana, che il bene comune è beneficio e dovere di tutti: il beneficio consiste nell'utilizzare il bene comune (in questo caso le strade e le piazze), il dovere consiste nel pagare, attraverso le tasse: la manutenzione, il controllo e il buon uso di questo "bene" di proprietà di tutti.
Viviamo Ivrea è un gruppo di persone che si è costituito nei mesi che hanno proceduto le elezioni amministrative del maggio di quest’anno. Per costituire un insieme organizzato di individui serve ovviamente avere valori, obiettivi e visioni del mondo condivisi per poter elaborare linee di azione coerenti con gli scopi associativi. E questi ci sono.
Così iniziava una canzone, di qualche anno fa, di Ivano Fossati che raccontava, con arguzia, le contraddizioni oggi insite nel significato del termine e di ciò che esso stesso dovrebbe rappresentare. La democrazia, ci hanno insegnato fin da bambini, è quella forma di organizzazione politica e istituzionale, basata sulla volontà del popolo, che si esprime tramite il voto, che dovrebbe garantire a tutti giustizia, equità e benessere.
Elisabetta Ballurio deve proprio aver combinato qualcosa di grosso all’interno del suo partito/coalizione. Il suo sta diventando un caso degno della penna di Kafka.
Che noi della minoranza prendiamo le difese di un componente della maggioranza può sembrare strano ma, siccome crediamo in una politica capace di ascoltare tutti e non limitata ad una competizione aprioristica, eccoci qua, a dire la nostra.
Fortunatamente, con il voto di giovedì sera, si è chiusa la vicenda dell’elezione del Presidente del Consiglio Comunale, così come si sarebbe potuto tranquillamente fare nella seduta della settimana precedente se un componente della maggioranza non avesse voluto lanciare chissà quale oscuro segnale alla nuova amministrazione.
Comportamenti che sanno di stantio, soprattutto se messi in atto in una società con i nervi scoperti a causa di problemi sui quali è meglio non scherzare.
Noi di Viviamo Ivrea crediamo sia necessario un cambiamento ed un salto di qualità nelle modalità di “fare politica” e crediamo anche sia necessario farlo in fretta.
Renato Accorinti, pacifista, attivista della difesa dei diritti civili, dell'ambiente e della lotta alla mafia è il nuovo Sindaco di Messina. E’ entrato a piedi nudi in Municipio con le lacrime agli occhi e si è commosso ricordando che spesso, per le sue battaglie per i diritti civili, era stato cacciato proprio da quel Comune del quale è ora diventato il primo cittadino e che dovrà governare nei prossimi cinque anni.
Non ci interessa esprimere in questa sede un giudizio sulla persona e sulla sua entrata in scena, vagamente venata di populismo quanto, piuttosto, evidenziare che questa elezione è di portata storica e dimostra che il livello della mala-politica dei partiti sta arrivando ai minimi termini.
In tempi di crisi si dovrebbero ridurre consumi e spese ed invece ad Ivrea sta accadendo un fenomeno singolare: scompaiono enti, istituzioni, servizi pubblici.
Volendo citarne qualcuno: l’Agenzia delle Entrate si trasferirà, fino a data da destinarsi, a Ciriè. Motivo del trasloco: l’amianto. E se ne accorgono solo ora? Ricordiamo che si tratta di edifici olivettiani parzialmente ristrutturati prima di essere utilizzati come uffici. Allora l’amianto non c’era?
Qualche anno fa abbiamo perso, in cinica sequenza, i corsi universitari del Politecnico, di Scienze Politiche e di Scienze della Comunicazione. Ha parzialmente fermato l’emorragia l’insediamento di un corso di laurea triennale in Scienze infiermeristiche anche grazie ad un ente creato appositamente per studiare nuovi possibili insediamenti universitari, master, corsi specialistici, ecc.: l’Associazione per gli insediamenti universitari. Ora dopo cinque anni di sostanziale inattività i responsabili di tale inerzia ne chiedono la chiusura.
Il mondo è in una fase socio-politica critica da decenni, l’Italia non va certo meglio. La speranza dell’uomo qualunque è che, almeno in ambito locale, le cose vadano meglio, ci sia più attenzione ai problemi “reali” dei cittadini. A sentire le promesse fatte in campagna elettorale si potrebbe effettivamente pensare che sia così, a forza di sentir parlare di: attenzione ai bisogni, riavvicinamento delle istituzioni ai cittadini, ritrovata capacità di ascolto, processi decisionali condivisi.
La dura realtà del post-voto ci dice esattamente il contrario, siamo al conservatorismo alla stato puro. Le vecchie abitudini non si perdono mai, neanche le peggiori.
Messa alle spalle la tornata elettorale e la composizione del nuovo Consiglio Comunale siamo alle prime battute della nuova amministrazione che dovrà governare la città nei prossimi cinque anni.
Sappiamo, ed è stato ribadito da tutte le parti in causa in campagna elettorale, di essere in un periodo particolarmente complicato dove il lavoro, la ripresa economica e lo sviluppo sostenibile dovranno essere messi al centro del dibattito e affrontati senza tentennamenti. Probabilmente proprio in quest’ottica si sarebbe dovuta affrontare la composizione della nuova giunta comunale ed invece abbiamo rivisto i soliti vecchi schemi. Era stata proposta alla popolazione, dall’attuale maggioranza, continuità e innovazione: è rimasta quasi solo la continuità. Era stata proposta partecipazione ed invece le scelte degli assessori sono state fatte nelle “fumose stanze” piuttosto che ascoltare il parere degli elettori che, con il voto di preferenza, sono stati sufficientemente chiari.
Abbiamo ormai superato i fatidici cento giorni dalle elezioni comunali del 26 e 27 maggio, ma delle tante promesse fatte in campagna elettorale non abbiamo ancora visto traccia e non ci pare ci sia nulla all’orizzonte.
Eppure la maggioranza uscita dalle urne è assolutamente autosufficiente con in più lo strapotere del PD sull’intera coalizione. Quattro assessori su cinque sono gli stessi della precedente legislatura, anch’essi in quota PD, salvo una. Tutte condizioni che, come molti cittadini hanno creduto, avrebbero potuto garantire una legislatura finalizzata a raccogliere quanto seminato nei cinque anni precedenti. Un quinquennio nel quale si sarebbero potute porre le condizioni per risvegliare dal torpore una città addormentata, chiusa su sé stessa e con sempre meno peso nelle dinamiche politiche locali come in quelle extra-territoriali. Questo se qualcuno si fosse preoccupato di seminare. Un bravo contadino infatti sa che se non semina e non cura con attenzione i propri campi il raccolto sarà scarso. Non avendo la scienza infusa, poi, il nostro contadino, quando non capisce qualcosa e non sa come comportarsi su un determinato argomento, si appoggia al resto della comunità nella quale vive ascoltando esperienze, saperi, consigli.
Per questa domanda, che molti si pongono, esistono molteplici risposte. Lungi da noi proporre una soluzione univoca maturata da un approfondimento storico-scientifico, proviamo a rispondere cosa è “per noi” la politica. Da persone semplici.
Senza partire dalla “polis” greca e dal pensiero di illustri eruditi, che hanno coniato le più dotte ed illuminate tesi, noi partiamo dicendo che la politica dovrebbe essere prima di tutto ascolto.
Noi crediamo che la politica sia ascoltare i cittadini per capirne i bisogni, le esigenze, le paure, le necessità e le aspirazioni.
Sabato 14 settembre, a Cascine di Romano, abbiamo avuto la fortuna di assistere ad una prolusione di padre Leonardo Boff, il famoso teologo brasiliano della liberazione che si è sempre schierato dalla parte dei poveri, scontrandosi ripetutamente con le gerarchie vaticane tanto da subire anche un processo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1984 il cui prefetto, a quel tempo, era il futuro papa Joseph Ratzinger.
Ascoltandolo mi sono immediatamente ritornati in mente gli interventi di altri grandi pensatori contemporanei, che ho potuto ascoltare dalla loro viva voce, come Alex Zanotelli, Enzo Bianchi, Frei Betto, Vandana Shiva e aggiungo anche Carlo Petrini.
Quello del probabile trasferimento da Ivrea dell’Eurojazz Festival, che si teneva nelle città eporediese da ben 34 anni, è solo l’ultimo degli episodi che evidenziano una stagione di declino e di depauperamento territoriale non solo economico ma anche culturale, sociale, politico partito da lontano e che pare non fermarsi mai. Notizie dell’ultima ora dicono che forse si farà l’apertura ad Ivrea, o forse no, con tutta una serie di rimpalli tra organizzazione dell’evento e amministrazione cittadina. A noi di Viviamo Ivrea non interessa dare ragione all’uno o all’altro quanto, piuttosto, evidenziare come questo ennesimo episodio segnali una assoluta mancanza di programmazione, di progettazione di chi governa la città. Una fase di stagnazione delle idee che dura ormai da troppo tempo. Crediamo sia chiaro a tutti che, se una qualunque fase di recessione non viene affrontata nei tempi giusti, si rischia di superare quella linea di confine oltre la quale una qualsiasi ripresa diventerebbe irraggiungibile.